DON FURIO GAUSS

(n. a  Fiume il 19/04/ 1929 + Trieste il 6/03/2023)

Nato a Fiume il 19 aprile 1929, entrò a dieci anni nel Seminario minore di Capodistria dove iniziò anche il percorso di studi teologici, fino al 1947, quando il Seminario fu chiuso e il suo Rettore – il venerabile mons. Marcello Labor – venne incarcerato.

Proseguì gli studi presso il Seminario di Gorizia, poi a Treviso e li completò quindi a Trieste, nel Seminario appena inaugurato dal Vescovo Santin.

Venne ordinato presbitero dal Vescovo Santin, il 2 dicembre 1951, nella chiesa del Seminario. Monsignor Santin lo chiamò a svolgere il servizio di suo Segretario particolare, incarico che sostenne per dieci anni. Santin, precorrendo i tempi, gli affidò anche il compito di sostenere l’apostolato nel mondo operaio (Fabbrica Macchine di S. Andrea, Cantiere San Marco, ecc.). Dal 1957 fu nominato Cappellano degli operai.

Nel frattempo, come giornalista, curò una rubrica dedicata ai temi religiosi su Radio Trieste. Sempre nel campo della comunicazione, intensificò i suoi rapporti con la Famiglia Paolina e collaborò con il beato don Alberione.

Lo sviluppo urbano della città verso est, convince il Vescovo Santin della necessità di offrire un servizio pastorale agli abitanti di quei nuovi insediamenti e incarica don Furio di sovraintendere i lavori di costruzione della nuova chiesa, dedicata a Gesù Divino Operaio, di cui diventerà primo parroco. Guidò quella comunità parrocchiale dal 1961 al 1984.

Nel 1964 viene nominato direttore del settimanale cattolico Vita Nuova, incarico che ricoprirà fino al 1978; nello stesso periodo è anche corrispondente per l’Osservatore Romano, Avvenire e per Radio Vaticana.

Nel 1984 il Vescovo Lorenzo Bellomi gli affida la cura della parrocchia di San Giuseppe, presso l’Ospedale Maggiore, che offre assistenza religiosa anche all’interno dell’Ospedale di Cattinara e del Burlo.

Per venire incontro ai degenti che non hanno parenti e che necessitano di assistenza e aiuto, don Furio promuove e intensifica la collaborazione con diverse realtà del volontariato, come l’Associazione Volontari Ospedalieri, l’Unitalsi e la Conferenza di San Vincenzo de’ Paoli.

Continua nel frattempo la sua attività giornalistica e contribuisce alla crescita dell’emittente radiofonica diocesana Radio Nuova Trieste.

Dal 2011, lasciato l’incarico agli Ospedali, continua ad offrire il suo servizio pastorale come aiuto alla parrocchia di San Giacomo.

 

Recentemente, il Vescovo di Trieste, ha invitato calorosamente don Furio a scrivere in un libro, quanto di bene aveva saputo operare a Trieste da molteplici punti di vista (sociali, politici, ecclesiali, pastorali). Questo libro è stato pubblicato l’anno scorso 2022: oltre il profilo sintetico su don Furio poco sopra evidenziato da inserire nel sito delle Ancille e nel nostro sito su RICORDIAMOLI, ho ritenuto opportuno valorizzare, anche se sinteticamente (sulla rivista GESU’ MAESTRO la sua testimonianza è riportata per intero), quanto ha testimoniato nel capitolo riguardante i rapporti con il Beato don Giacomo Alberione, con la Famiglia Paolina, soprattutto con gli Istituti IGS, ISF e l’Associazione delle Ancille per le quali è stato guida spirituale e animatore fin dalla loro approvazione.

Segue quanto don Furio scrive al riguardo che testimonia profondamente come veramente don Furio è stato uno strumento fedele e fecondo di bene nelle mani dello Spirito Santo non solo per la Chiesa, la Diocesi di Trieste, ma anche per don Giacomo Alberione, don Stefano Lamera, per tanti membri della Famiglia Paolina, per l’inizio e lo sviluppo di tutti gli Istituti Aggregati alla San Paolo, per l’Associazione delle Ancille.

 

“Nel 1959 mi era capitata una cosa che mi ha stupito e fatto pensare: poco prima che arrivasse la statua della Madonna e poi ci fosse la posa della prima pietra del Tempio di Monte Grisa, mi fu recapitato un biglietto firmato “sacerdote Giacomo Alberione”, con il quale il fondatore della Famiglia Paolina mi invitava a far parte di un istituto secolare per sacerdoti, per il quale lui aveva appena ottenuto l’approvazione pontificia. Il primo corso di Esercizi per aderire a questo istituto era previsto proprio per settembre 1959. Don Alberione osava sempre

Ho dovuto rispondergli che lo ringraziavo per l’invito ma che proprio quei giorni dovevo essere a Trieste per organizzare due grandi eventi in programma. Per me questo invito era del tutto impensato: dopo la Provida Mater Ecclesia, cioè il documento con cui Papa Pacelli consentiva che ai voti fossero ammessi non solo i religiosi, ma anche i secolari – e anche il clero diocesano – erano sorti vari istituti secolari. Naturalmente cercai di capire come don Alberione fosse giunto a me con tale proposta. Lui era furbo, oltre che santo, e invitava le sue suore – le Figlie di San Paolo, ormai diffuse in tutte le diocesi italiane – a far conoscere l’editoria paolina attraverso i segretari dei vescovi. A Trieste le suore avevano messo in atto da tempo l’input del loro fondatore, anche se io le conoscevo già da quando ero stato appena nominato sacerdote; avevo celebrato proprio nella loro cappella – in via Rossini dove al piano terra c’era la loro libreria – una delle mie prime Messe. Come segretario del Vescovo – l’ho scoperto dopo – sono rientrato in quel piano che don Alberione aveva suggerito alle sue suore, sintetizzabile così: “I Vescovi hanno tanto da fare ma voi potete aggiornare i segretari dei Vescovi sulle nostre edizioni”.

Per conto della diocesi mi sono trovato ad occuparmi di cose che interessavano anche ai Paolini. Ad es., prima del Concilio c’era già a Trieste un Movimento per l’unificazione ecumenica e c’erano i contatti tra la comunità cattolica e le altre comunità religiose non cattoliche. Il Vescovo allora mi informò di un’iniziativa chiamata Ut unum sint promossa da una congregazione vaticana ma portata avanti da don Alberione e dai Paolini, tesa ad agevolare i rapporti esistenti fra le varie religioni cristiane. Così costituimmo a Trieste questo gruppo ecumenico che riceveva pubblicazioni da don Alberione e soprattutto organizzava la Settimana dell’Unione dei Cristiani.

Questo lavoro lo facevo in parallelo a quello di segretario del Vescovo. Ricordo che è venuta a Trieste una Figlia di San Paolo, suor Domenica Sammartino, che aveva proprio il compito di contattare le varie comunità per redigere un elenco completo delle forze cristiane cattoliche e non, come preliminare a quelle che sarebbero state le attività del Concilio e io l’ho agevolata nei contatti. Altre iniziative paoline in città erano facilitate per quello che si produceva già alle trasmissioni radiofoniche per cui noi avevamo ospitalità presso la RAI, ne curavamo i testi e li traducevamo in trasmissioni, erano esportabili. Lo facevamo già con Radio Vaticana e cominciammo a farlo con la “San Paolo”: sezione dischi, con le lezioni di catechismo che venivano prodotte allora nella Casa di Albano dove c’era un centro vocazionario di persone adulte e sempre in ottemperanza al principio di Alberione “che ciascuno deve mantenersi col proprio lavoro”. Mi sembra di poter dire che tutte queste esperienze a livello locale si sono composte in un mosaico che rappresentava una delle mie attività pastorali: quella giornalistica. Io mi trovavo ad essere un collaboratore esterno dei Paolini, quando nel 1959 ricevetti quel famoso biglietto da don Alberione che mi invitava a fare gli Esercizi spirituali con coloro che erano interessati a far parte di uno degli Istituti secolari da lui avviati e appena approvati dal Papa, uno dei quali era riservato ai sacerdoti.

Durante gli Esercizi del 1967, memore dell’invito di Alberione, chiesi consiglio a don Rossi: “Secondo Lei è sufficiente che io faccia il prete o devo impegnarmi anche con voti specifici?”. Lui mi rispose che anche lui era un prete diocesano e aveva pure preso i voti, ma li chiamava “i voli” perché per lui costituivano un aiuto ulteriore per arrivare meglio all’imitazione di Cristo. Fu così che, finiti gli Esercizi, presi un treno e invece di tornare a Trieste, andai a Roma, dove mi presentai a don Lamera che era il delegato di don Alberione per l’Istituto Gesù Sacerdote. Lo trovai nella chiesa di San Giuseppe, sulla Portuense, perché egli era allora il superiore della Sampaolo Film. Era stato un uomo molto alto ma una malattia alla schiena lo aveva piegato già da giovane. Vedendolo assorto a pregare, aspettai pazientemente in disparte. Dopo un bel po’ mi permisi di battergli la spalla e gli chiesi se potevo parlargli. Lui si tolse gli occhiali, mi guardò dicendomi: “Tu vieni da Trieste?”. Alla mia risposta affermativa mi disse: “Ci hai messo del tempo per deciderti ad arrivare”. Mi trovai spiazzato perché, mentre io non sapevo nulla di lui, lui sapeva tutto di me. Mi sarei accorto più tardi che lui era un uomo che aveva dei doni particolari: ti leggeva dentro. Mi disse di presentare domanda e sarei entrato nell’Istituto Gesù Sacerdote come novizio. Prima di intraprendere i miei due anni di noviziato, ritornai a Trieste e ne diedi informazione al Vescovo che ne fu contento.

Quando don Alberione che era sempre stato fragile di salute, aveva chiesto il riconoscimento degli Istituti secolari, era già molto anziano e provato. Lui, nei suoi scritti, dice di aver lottato con il Signore, ben sapendo che nella Chiesa ci sono già tante fondazioni a cui dover pensare. Ne fece oggetto di preghiera nelle sue lunghe soste diurne e notturne dinanzi il Tabernacolo. Poi però ha preso un foglio di carta su cui ha scritto: “Signore, mi arrendo, Tu hai vinto. Col tuo aiuto cercherò di far riconoscere anche questi istituti secolari. Però richiedo delle vocazioni di prima scelta, Ti chiedo che alle nostre povere risorse sia data una moltiplica di grazia come la sai dare Tu. Richiedo una specialissima protezione della Mamma Tua, la Regina degli Apostoli”. Firmò il foglio e lo ripose nel Tabernacolo. Dopo andò dal Cardinale Larraona, prefetto della Congregazione dei religiosi, e gli disse: “Il Signore vuole, oltre ai religiosi e religiose Paolini, anche il ramo secolare della Famiglia Paolina. “Va bene – rispose il Cardinale – Lei li prepari e quando saranno pronti ce li presenta e noi daremo il riconoscimento”. “No, no – obiettò don Alberione – io non ho tempo, sono vecchio; mi deve dare l’approvazione subito”. Viste le sue insistenze il Cardinal Larraona stabilì: “Il responsabile sarà Lei anche per gli istituti secolari. Li facciamo aggregati alla Società San Paolo. Così Lei, Alberione, risponde per tutti. Tanto Lei ha già dimostrato di essere un vocazionista provetto e troverà adepti anche per i suoi istituti”. Fu così che nel 1960 c’è stata l’approvazione degli Istituti secolari paolini. Poi, a distanza di qualche anno, sono decollati tutti.
Nell’anno 1971 ero ad Ariccia per predicare gli Esercizi spirituali ai membri del Capitolo generalizio. All’ultima mia meditazione arrivò nella chiesa del Divino Maestro anche don Alberione. Con lui ero rimasto solo io. Lo accompagnai lentamente lungo le scale, sostenendolo a braccetto, fino al refettorio. Parlava a fatica, ma lucidamente, con domande precise sulla attività del Centro Ut Unum Sint che, d’accordo con il mio Vescovo, Mons. Antonio Santin, mi aveva affidato per la Diocesi di Trieste e sulla collaborazione per l’allestimento di radioscene bibliche che poi, ad Albano, venivano incise su dischi catechistici dai Paolini. Sei mesi dopo, a novembre, mi recai a Roma per partecipare ad un convegno sulla pastorale con i mass-media, organizzato dalla CEI. Il 25 novembre, di mattina, prima che iniziassero i lavori alla Domus Mariae, pensai di recarmi a celebrare la Santa Messa al Santuario della Regina degli Apostoli. Mi assegnarono il piccolo altare alla base del grande mosaico absidale. In sacrestia trovai un via vai di confratelli che provenivano da varie località.

Motivo: si era diffusa la notizia di un peggioramento della salute del Primo Maestro. Venivano per vederlo, salutarlo, per avere ancora da lui una benedizione. Io pure avevo un motivo per vederlo. Perciò scesi in via Alessandro Severo e trovai il modo di non fare molta anticamera. Don Alberione era nella sua stanza disteso su una branda di metallo, con la maschera d’ossigeno e, accanto, una suora Pia Discepola, sr Giuditta, la sua solerte infermiera. Mi inginocchiai a lato della branda per essere più vicino al suo volto e gli comunicai ciò che lui doveva sapere prima di morire, perché lo aveva tanto desiderato in vita. “Signor Primo Maestro, Le porto una buona notizia: a Trieste, ci sono cinque coppie di coniugi disposti a consacrarsi con i santi voti nell’Istituto Santa Famiglia per il quale Lei ha ottenuto in anticipo l’approvazione dal Cardinale Larraona della Congregazione Vaticana”. Lui disse per tre volte: “Deo gratias” e poi “Benedico”. Gli baciai la mano a lungo. Andai poi subito dal nuovo Superiore Generale, don Zanoni, e lo misi al corrente di ciò che era più importante di quanto pensassi. Mi rispose: “Lo sa che questi sono i primi coniugi che entreranno nell’Istituto Santa Famiglia? Finché il chicco di grano caduto in terra non marcisce e muore, la spiga non può crescere e maturare. Don Alberione con la sua agonia dolorosa ha meritato anche questo”.

La mia vocazione al sacerdozio è stato un percorso chiaro e lineare che – per le contingenze storiche – si è svolto in vari passaggi. A ripensarci però non posso non notare la lenta tessitura vocazionale paolina. Io sono arrivato all’ordinazione sacerdotale attraverso San Paolo per merito di un ebreo convertito innamorato di San Paolo, Marcello Labor, il quale arrivando a Capodistria ha fatto largamente supplenza del padre spirituale. Noi seminaristi ascoltavamo più volentieri le meditazioni di Labor che si ispirava e citava San Paolo, che altri, pur venerandi, sacerdoti. I principi che animavano il pensiero paolino erano l’universalità, il saper cogliere le occasioni di scoprire Dio che si rivela nelle creature e nelle situazioni della storia. Sono diventato sacerdote e ho operato nella mia diocesi così come mi veniva richiesto dal mio Vescovo di allora e da quelli che sono seguiti. Mi sia consentito pensare che San Paolo mi ha regalato una marcia in più”

(don Furio Gauss).