Nella Chiesa occorre costruire “armonia” e non “partiti o cordate”, con un occhio al passato. A tornare a chiederlo è stato Papa Francesco nell’omelia della Messa crismale che apre il Triduo sacro di Pasqua. Presiedendo la messa nella Basilica di San Pietro con centinaia di sacerdoti della “sua” diocesi di Roma, alla presenza di vescovi e cardinali, Papa Francesco si è rivolto nell’omelia ai consacrati affermando: “Fratelli, costruire l’armonia tra noi non è tanto un buon metodo affinché la compagine ecclesiale proceda meglio, non è questione di strategia o di cortesia: è un’esigenza interna alla vita dello Spirito. Si pecca contro lo Spirito che è comunione quando si diventa, anche per leggerezza, strumenti di divisione; e si fa il gioco del nemico, che non viene allo scoperto e ama le dicerie e le insinuazioni, fomenta partiti e cordate, alimenta la nostalgia del passato, la sfiducia, il pessimismo, la paura. Stiamo attenti, per favore, a non sporcare l’unzione dello Spirito e la veste della Madre Chiesa con la disunione, con le polarizzazioni, con ogni mancanza di carità e di comunione”.
E ha poi aggiunto il Papa: “Ricordiamo che lo Spirito, ‘il noi di Dio’, predilige la forma comunitaria: la disponibilità rispetto alle proprie esigenze, l’obbedienza rispetto ai propri gusti, l’umiltà rispetto alle proprie pretese”.
La messa del crisma è concelebrata dal Papa con i cardinali, i vescovi, il vicario del Papa a Roma, il cardinale Angelo De Donatis, celebrante all’altare, e i sacerdoti della diocesi. Nel corso della celebrazione, i sacerdoti hanno rinnovato le promesse fatte al momento della loro ordinazione; poi la benedizione, come avviene in tutte le chiese cattedrali la mattina del giovedì santo, dell’olio degli infermi, dell’olio dei catecumeni e del crisma.
Il Papa ha invitato i sacerdoti a “custodire l’armonia” e ad accogliere e perdonare tutti. Quella del sacerdote, ha sottolineato, è una missione fatta di gentilezza e perdono “sempre”, di positività ed ottimismo. “Aiutiamoci, fratelli, a custodire l’armonia, cominciando non dagli altri, ma ciascuno da sé; chiedendoci: nelle mie parole, nei miei commenti, in quello che dico e scrivo c’è il timbro dello Spirito o quello del mondo? Penso anche alla gentilezza del sacerdote: ma tante volte noi preti siamo dei maleducati. Se la gente trova persino in noi – ha detto Papa Francesco nell’omelia – persone insoddisfatte e scontente, zitelloni, che criticano e puntano il dito, dove vedrà l’armonia? Quanti non si avvicinano o si allontanano perché nella Chiesa non si sentono accolti e amati, ma guardati con sospetto e giudicati! In nome di Dio, accogliamo e perdoniamo, sempre! E ricordiamo che l’essere spigolosi e lamentosi, oltre a non produrre nulla di buono, corrompe l’annuncio, perché contro-testimonia Dio, che è comunione e armonia. Ciò dispiace anzitutto allo Spirito Santo, che l’apostolo Paolo ci esorta a non rattristare“.
Il Pontefice ha poi esortato i sacerdoti a superare le proprie crisi e a non scadere mai nella mediocrità. “A tutti, prima o poi, succede di sperimentare delusioni, fatiche e debolezze, con l’ideale che sembra usurarsi fra le esigenze del reale, mentre subentra una certa abitudinarietà e alcune prove, prima difficili da immaginare, fanno apparire la fedeltà più scomoda rispetto a un tempo”, ha detto il Papa. Da questo senso di delusione “si può uscirne male, planando verso una certa mediocrità, trascinandosi stanchi in una normalità dove si insinuano tre tentazioni pericolose: quella del compromesso, per cui ci si accontenta di ciò che si può fare; quella dei surrogati, per cui si tenta di ‘ricaricarsi’ con altro rispetto alla nostra unzione; quella dello scoraggiamento, che è la più comune, per cui, scontenti, si va avanti per inerzia”.
Per il Papa questo è “il grande rischio: mentre restano intatte le apparenze, ‘io sono sacerdote, io sono prete’, ci si ripiega su di sé e si tira a campare svogliati; la fragranza dell’unzione non profuma più la vita e il cuore non si dilata masi restringe, avvolto nel disincanto”.
E “quando il sacerdozio lentamente va scivolando sul clericalismo, il sacerdote si dimentica di essere pastore per diventare un chierico di Stato“, ha avvisato il Papa. Ma una crisi può invece “diventare anche la svolta del sacerdozio, la tappa decisiva della vita spirituale, in cui deve effettuarsi l’ultima scelta tra Gesù e il mondo, tra l’eroicità della carità e la mediocrità, tra la croce e un certo benessere, tra la santità e un’onesta fedeltà all’impegno religioso”. Il Papa ha ribadito ai sacerdoti che bisogna evitare “il carrierismo”.
Si tratta, per il Pontefice, di “una lotta irrinunciabile: è infatti indispensabile, come scrisse San Gregorio Magno, che chi annuncia la parola di Dio, prima si dedichi al proprio modo di vivere, perché poi, attingendo dalla propria vita, impari cosa e come dirlo. Nessuno presuma di dire fuori ciò che prima non ha ascoltato dentro”.
Papa Francesco ha donato ai sacerdoti della diocesi di Roma un libro di Renè Voillaume, dal titolo “La seconda chiamata”, dedicato al tema del “coraggio della fragilità”. Lo stesso Pontefice, nella sua omelia, ha annunciato il suo particolare dono, definendolo un “classico”.