Abbazia di Sant’Egidio, 4 Giugno 1989
Adesso, mi raccomando, vorrei che nessuno disturbasse. Anzi, chiudete la porta, perché mai il turismo ha a che fare col cristianesimo.
La Chiesa la troviamo spesso in torpedone,
ma il turismo non ha niente a che fare.
Tanto meno la curiosità, eccetera.
E meno ancora che si faccia questo mentre altri fratelli pregano.
Questa è serietà, educazione, rispetto. Perciò chiudete la porta e chi è a pregare resti a pregare. E sia sempre così.
Pensate, già si è infastiditi quando uno è a teatro o a una conferenza o a uno spettacolo che ci è caro; si sente subito disagio quando uno disturba, immaginarsi quando si prega.
Ecco. Le sole che hanno diritto a cinguettare sono le rondini. Benvenuti! Grazie che siete qui a pregare.
Vorrei che in questo momento pensassimo al gesto che facciamo. Serenamente mettiamoci tutti insieme in ascolto della Parola.
Sentite: “Parola di Dio. Parola di Dio!”
Dovrebbero fermarsi i mondi. Perché è la Parola che crea, è la Parola che ti dona la vita.
Quindi è una grazia essere qui insieme, in atresa che questa parola diventi la Parola liberatrice. La parola che diventa “lucerna ai nostri passi”. (Sal. 118,105), dice ancora la Scrittura. Questo comunicarci non è altri che
la parola che prende carne, diventa comunione, diventa appunto, comunità.
È questo il senso di quanto compiamo ogni Domenica, nel nome di Cristo risorto.
Perché, poi, è il Vivente, e noi dovremmo essere il segno che Egli è vivo, che è Cristo risorto,
che nel suo nome siamo capaci anche di donare la vita, di perdonare il fratello, di dividere le cose.
Nel suo nome, nel nome di un vivente, non nel nome di un morto. Perché poi, il segno che è risorto siamo noi.