È qualcosa di risaputo: “Quale la suprema personalità? Quale l’ideale paolino? Come e quando si realizza e si vive? Come san Paolo: quando si può dire: Vivo ego, iam non ego, vivit vero in me Christus (Gal 2,20)” (Carissimi in San Paolo, p. 783). “In questo sta la perfezione cristiana, religiosa, sacerdotale: stabilirsi totalmente in Gesù Maestro Via (volontà), Verità (mente), e Vita (sentimento); anzi arrivare alla suprema altezza della nostra personalità: io che penso in Gesù Cristo, io che amo in Gesù Cristo, io che voglio in Gesù Cristo; o Cristo che pensa in me, che ama in me, che vuole in me” (Ut perfectus sit homo Dei I, p. 187). Questo è l’ideale paolino. Lo sappiamo bene. Ma può essere pura fantasticheria se non è costruito su basi solide.
Diceva mons. José Rodríguez Carballo nel 2° Seminario Internazionale sulla Formazione (Ariccia, 4-8 novembre 2019): “Mi urge sottolineare soprattutto la formazione umana. Io credo che negli ultimi anni la dimensione umana è stata un po’ trascurata, ma se vogliamo essere buoni religiosi dobbiamo essere prima di tutto o allo stesso tempo uomini, persone adulte e non adulterate o adultere”.
“Un po’ trascurata”… Basta dare uno sguardo ai documenti (anche i nostri) degli ultimi tempi… Ci sono stati seminari di spiritualità, di apostolato, di formazione… Ma non di vita fraterna in comunità e di formazione umana. E non è difficile sentirne la mancanza. Da quello che conosco, quasi tutte le defezioni degli ultimi tempi non sono dovute a problemi di carisma o di vocazione, ma a difficoltà di relazione tra le persone, che quasi sempre hanno origine nei rapporti umani.
E si augura mons. Carballo una vita fraterna in comunità “che sia umana e umanizzante, che ci permetta di essere più uomini e più donne; una vita fraterna in comunità in cui si viva un clima di libertà evangelica e di responsabilità; una vita fraterna caratterizzata dalla discrezione e dal rispetto dell’altro nella sua realtà personale e che renda possibile una comunicazione profonda di ciò che uno fa, di ciò che uno pensa e di ciò che uno sente; una vita fraterna in cui ciascuno si senta dono del Signore per l’altro, e la si viva secondo la logica del dono; una vita fraterna esperta in comunione, in cui la legge della comunione regoli le relazioni interpersonali; una vita fraterna che uscendo dal suo ‘nido’ si apra agli altri”.
In Carissimi in san Paolo scrive Don Alberione: “Fine dell’educazione nella Congregazione si è di formare il religioso paolino. Occorre procedere con sapienza e amore. Occorre che vi sia una base, un punto di partenza: l’uomo retto; su di esso si può costruire il buon cristiano, il figlio di Dio; su questo si può elevare il religioso santo, che potrà essere laico o sacerdote; e del religioso santo si può fare un apostolo sopra il grande modello san Paolo” (Carissimi in San Paolo, p. 755).
Ecco il programma! Il fine della Congregazione è l’evangelizzazione: il punto di arrivo è quello dell’essere apostolo paolino; ma per arrivarci è necessario rispettare certe tappe: il religioso santo, il buon cristiano e l’uomo retto. Tante volte si danno per scontate queste tappe… che invece non ci sono nella realtà; e allora la persona è soltanto come un castello, magari bello, ma costruito nell’aria… In qualsiasi momento può crollare… E purtroppo non è una possibilità teorica…
A volte, nelle comunità, piene di lavoro, si dimentica la dimensione umana; a volte, in nome delle cose più sublimi, si nasconde persino una mancanza di educazione e delicatezza elementari nei rapporti umani. Insomma: mancano gli atteggiamenti propri dell’“uomo retto”, che diceva il Fondatore.
Scrive il Fondatore: “È grande errore ignorare, o fingere di ignorare, le convenienze sociali: l’urbanità dei modi e le dimostrazioni di stima facilitano le vie della convivenza lieta e conferiscono una superiorità rispettata… mentre la parola mordace, volgare, sgarbata, brutale, quanti sconcerti e scontenti produce in chi la dice ed in chi la sente! Non bastano la saggezza, l’istruzione, la virtù; occorre che tutto sia completato con modi e tratto da veri religiosi” (Carissimi in San Paolo, pp. 759-760). Davvero umani, potremmo aggiungere.
don Antonio Perez ssp.