Ritengo sia necessario ribadire anzitutto che la qualità e l’autenticità della vita cristiana è data dalla qualità e autenticità della vita interiore. La vita di un cristiano si manifesta nelle sue opere, ma l’agire morale è determinato dal di dentro. Il cristianesimo non è una dottrina morale benché la Scrittura ci ricordi che senza le opere la fede è morta, ma è vita spirituale, cioè vita dello Spirito di Cristo in noi.

Il non avere chiara questa priorità, porta inevitabilmente a un rilassamento ed un appesantimento del vissuto del cristiano: si fa fatica ad entrare nel proprio cuore e a prendere coscienza di ciò che in esso si muove. Vita interiore e vita secondo lo Spirito sono sommerse da un numero sempre crescente di impegni, magari anche buoni (carità, servizio sociale, impegni in parrocchia) tanto che, a volte, si ha l’impressione di una semplicistica identificazione tra esperienza religiosa ed impegni nel mondo; si dimentica invece che la vita di fede è relazione personale con Dio innestata su una profonda vita interiore. Il rischio più insidioso è lo scivolare verso forme di pseudo-spiritualità.

Spesso anche i preti hanno quasi paura che, toccando certi temi, non si venga più ascoltati, si appaia ‘fuori moda’, ci si senta ‘tagliati fuori’. Così si può cadere nella situazione di colui che parla di ciò che si pensa che l’altro desideri udire. Credo sia importante essere continuamente vigilanti per non svuotare l’esperienza cristiana o la vita secondo lo Spirito di alcuni contenuti qualificanti. A volte insistere su certi temi può apparire una follia. Ma la ‘follia della croce’ resta pur sempre una realtà costitutiva della sequela cristiana.