Per Paolo il Cristo povero non è il Cristo di Betlemme; Paolo va più in profondità: Cristo povero perché “sa abbassarsi”, sa manifestare la vera umiltà. Questa umiltà di Cristo (Fil 2, 1-11) non consiste principalmente nell’essere piccoli perché uno può essere piccolo senza essere umile; non consiste principalmente nel sentirsi piccoli perché uno può sentirsi piccolo ed esserlo realmente e questa sarebbe oggettività e non ancora umiltà, senza contare che il sentirsi piccoli ed insignificanti può nascere anche da un complesso di inferiorità e portare al ripiegamento su di sé. L’umiltà più grande è quella operativa. Lo “svuotarsi” autentico consiste nel farsi piccoli per amore, per innalzare gli altri. Cristo, infatti, non è piccolo, non si sente piccolo, ma si è fatto piccolo-“povero” per amore, per caricarsi dei mali degli uomini, per portare gioia, vita, amore dove non c’era… eseguendo pienamente la volontà del Padre.
Il Paolo povero, il paolino povero voluto da don Alberione è colui che, animato dallo spirito di Cristo sa aprirsi completamente a Dio. Si affida alla logica del mistero pasquale della morte e risurrezione di Cristo. Perciò la povertà consiste in una grande forza e libertà interiore che rende capaci di grandi abnegazioni, rende disponibili agli altri con generosità e gratuità mettendo nel conto imprevisti, delusioni e il coraggio di ricominciare con umiltà ogni giorno.
Senza questa esperienza mistica se non permettiamo allo Spirito di Cristo di crocifiggere, purificare le nostre sensibilità e le nostre attese superficiali, senza accorgercene spegniamo crocifiggiamo la sapienza di cristo con il nostro modo di pensare, sentire e agire e quali ne sono i segni: la situazione dei forti e dei deboli a Corinto descritta molto bene da san Paolo:
Per i “forti” la verità corrisponde esattamente al loro sapere; è questo che la domina e la guida; di qui il loro “potere” (1Cor 8,9) e la loro rivendicata “generale liceità” (10,23) e “libertà” (10,29). I “deboli” restavano sorpresi e scandalizzati e quindi accusavano i “forti”
La prima riflessione di Paolo va nella direzione dei “forti”: di per sé, costoro hanno ragione a non pensarla come i “deboli”. I “forti” però mancano di memoria concreta circa il loro essere: l’essere cristiani! Semplicemente: mancano di carità, e un cristiano senza carità è un controsenso, un non senso (Cfr. 1Cor 13). E continua: ” se qualcuno crede di sapere qualcosa, non ha ancora imparato come bisogna sapere (8,2 a-b). E applicando completa: “se invece qualcuno ama Dio, è da lui conosciuto ( v.3). Quando Dio “conosce”, ama. L’espressione “coloro che amano Dio” definisce in concreto la comunità cristiana; né si può essere “in Cristo”, cioè nella nuova esistenza, se non si ha e se non si esprime l’amore.
Paolo dunque non ha nulla contro la sapienza umana; solo ne sottolinea l’insufficienza e l’assoluta inadeguatezza nella gestione genuina della vita cristiana. Tra Dio e l’uomo, evidenzia spesso nelle sue meditazioni don Alberione, Dio stesso ha posto il mediatore e rivelatore, il Cristo Gesù. “potenza” e “sapienza” di Dio (1Cor 1,24) con la sua parola e il suo esempio egli caratterizza il cristiano con la carità,: l’amore a Dio e al prossimo. E’ proprio grazie al Battesimo che egli forma un solo corpo con tutti i credenti, costituiti in tal modo tutti “fratelli”, vere e proprie sue membra (cioè di Cristo), ciascuno per la sua parte”(1Cor 12,27).