Card. Gianfranco Ravasi: il dialogo con Napolitano fra musica e libri. Pure sulla trascendenza

Il cardinale racconta gli incontri e gli interessi comuni con il presidente, che aiutano a comprenderne la personalità. Quel suo intervento ad Assisi

Era il 25 aprile 1998 e in quel periodo rivestivo la funzione di prefetto della Biblioteca-Pinacoteca Ambrosiana di Milano. L’allora ministro dell’Interno Giorgio Napolitano era in città per le celebrazioni della Liberazione e aveva espresso il desiderio di visitare quell’istituzione fondata agli inizi del ’600 dal cardinal Federico Borromeo. In quell’occasione al ministro mostrai una sorta di reliquia “laica” là custodita, l’autografo del testo “Dei delitti e delle pene” (1764) di Cesare Beccaria, le cui pagine fitte di correzioni, ripensamenti e persino di macchie d’inchiostro rivelavano il travaglio dell’elaborazione da parte del suo autore.

L’interesse e l’emozione di Napolitano nello sfogliare quelle pagine erano evidenti. Da quel momento in avanti si stabilì una sorta di filo di amicizia implicita, sia pure con la diversità delle funzioni e delle visioni generali. Le consonanze si moltiplicarono, così come i contatti, anche telefonici, e si intensificarono col mio approdo a Roma come capo-dicastero vaticano della Cultura nel 2007. Nel frattempo si era inserita una componente originale, il legame autentico e profondo del presidente col papa Benedetto XVI.

Come corollario a questo episodio, mi viene spontaneo ribadire le nostre molteplici consonanze letterarie, anche perché il presidente era un vero umanista, dotato di una straordinaria vastità e profondità di letture persino filosofiche. Cito solo, a livello supremo, la figura di Dante Alighieri. Quando io avevo concluso il mio incarico di presidente della «Casa di Dante» di Roma e Napolitano era tornato alla funzione di senatore a vita, egli fu lieto di accogliere l’invito caloroso a presiedere quella sede importante di studi danteschi, forte della sua passione per il poeta.

Ho ancora davanti agli occhi, sulla scrivania del suo studio di senatore a Palazzo Giustiniani, il testo della Divina Commedia in una edizione-miniatura, adatta alla consultazione immediata. Sulla scia della letteratura è facile allegare anche un cenno al nostro amore comune per la musica. Quando nella Basilica Superiore di Assisi la Rai registrava il «Concerto di Natale», mi veniva assegnato un posto accanto al presidente che in qualche edizione era presente. Seguiva, poi, il pranzo nel refettorio dei frati del convento. Furono quei concerti a farmi scoprire un altro orizzonte sorprendente di Giorgio Napolitano, la sua grande competenza musicale. Essa sapeva intrecciare alla conoscenza tecnica la finezza interpretativa.

In questa trama minima di ricordi vorrei evocare due ultime testimonianze. Per una miscellanea di studi che mi era stata dedicata per i 70 anni nel 2012, il presidente aveva offerto un saggio intitolato “La politica e la forza degli ideali”. In esso sviluppava un tema a lui molto caro, convinto – come scriveva – che «il visibile impoverimento ideale e culturale della politica abbia rappresentato il terreno di coltura del suo inquinamento morale». Il discorso si affidava, perciò, ai sentieri d’altura degli ideali, diversi dalla «rigidità, omnicomprensività e autosufficienza di un’ideologia militante», come era stata anche la «dottrina e la prassi comunista».

La sua fu una straordinaria lezione-riflessione sul rapporto tra religione e società, che ebbe persino un intimo risvolto autobiografico. Napolitano, infatti, ricostruì il momento giovanile della sua crisi religiosa, ma anche il costante permanere del suo interrogarsi sulla trascendenza, una domanda – come mi disse – alimentata anche dalle sue letture filosofiche, soprattutto di Pascal.

A conclusione di questo ritratto semplificato del nostro dialogo e della simpatia reciproca intercorsa tra noi, vorrei citare un frammento illuminante di quel suo intervento ad Assisi: «Nel dialogo tra credenti e non credenti – sempre prezioso in vista del bene comune da perseguire in questa così travagliata nostra Italia – io rappresento, nella funzione che attualmente esercito al vertice delle istituzioni, gli uni e gli altri come cittadini, come italiani, e tendo ad unirli. A ciò corrisponde il mio mandato, così come lo interpreto e lo vivo. È dalla schiettezza del dialogo, e da un suo esito fruttuoso, che possono venire stimoli e sostegni nuovi per una ripresa di slancio ideale e di senso morale, della quale ha acuto bisogno oggi la nostra comunità nazionale come in pochi altri momenti da quando ha ritrovato, con la democrazia, la sua libertà».