Risuonano spesso nelle esortazioni ecclesiastiche le parole forti come conversione, sequela, rinnegamento, distacco e radicalità. Giustissimo. Ma forse non sono inutili alcune puntualizzazioni. Infatti capita, a volte, di sentire parlare molto  di radicalità, distacco e dono di sé, lasciando però in ombra che tutto questo richiede coraggio di rinnovare profondamente il modo di guardare se stessi, il mondo e Dio.

Che questa prospettiva sia vera ci è detto con chiarezza da Giovanni, nel dialogo in cui viene predetto il rinnegamento di Pietro (13,36-38). Pietro ha capito che bisogna dare la vita («darò la mia vita per te»), ma non ha ancora compreso  la verità della Croce di Gesù. Pietro non ha compreso che solo dopo Gesù il discepolo può a sua volta dare la vita. Non è Pietro che deve morire per salvare Gesù, ma è Gesù che muore per salvare Pietro. La Croce è la rivelazione di un Figlio di Dio  che gratuitamente dona. Il nucleo della verità cristiana  non è il dono dell’uomo a Dio  (come pensava Pietro), ma il dono di Dio all’uomo. Questo comporta, ovviamente, che anche Pietro cambi direzione della sua disponibilità  a dare la vita. Egli si dichiara disponibile a morire per salvare la vita a Gesù , ma non a morire come Gesù, cioè per gli altri. Sta forse in questo «come» la nota più esigente e sorprendente  dell’esistenza cristiana, che non è solo un vivere e un morire per Dio, ma farsi trasparenza dell’amore di Dio verso gli uomini.

La conclusione è semplice: la conversione evangelica è esigente sul piano ascetico (richiede il coraggio di lasciare e di dare), ma forse è ancora più esigente sul piano del rinnovamento della fede. Questo profondo rinnovamento – di per sé, del mondo e di Dio – investe l’esistenza nella sua quotidianità, in tutte le sue circostanze e in tutte le sue relazioni. E’ una dimensione nuova ma dentro la vita ordinaria. Come tutte le scelte, la sequela evangelica richiede distacco, e come ogni vera libertà richiede concentrazione e fedeltà. Ma questi aspetti e altri simili – che certo richiedono fatica, disciplina, allenamento e consuetudine conquistata giorno dopo giorno – conducono se veri, a una scoperta che tutto capovolge: non è il discepolo che dona se stesso al Maestro, ma è il Maestro che dona se stesso al discepolo; non è il discepolo che dona a Dio le cose che lascia, ma è Dio che insegna al discepolo un modo nuovo di guardarle, di utilizzarle e di goderle.