Papa Francesco celebra la messa conclusiva della XVI Assemblea ordinaria del Sinodo dei vescovi e chiede di continuare il cammino di ascolto per mettere Dio al centro della vita e stare accanto ai fratelli provati dalle guerre, dalla miseria, dallo sfruttamento

La cosa più importante è l’amore. Per Dio e per il prossimo. Papa Francesco lo ricorda commentando il Vangelo di Matteo, nel corso della messa conclusiva della prima sessione della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi. E chiede ai «fratelli Cardinali, confratelli Vescovi e sacerdoti, religiose e religiosi, sorelle e fratelli» di «guardare al “principio e fondamento” da cui tutto comincia e ricomincia: amare Dio con tutta la vita e amare il prossimo come sé stessi. Non le nostre strategie, non i calcoli umani, non le mode del mondo, ma amare Dio e il prossimo: ecco il cuore di tutto». E questo si fa con l’adorazione e il servizio. «Amare è adorare», sottolinea papa Francesco. «L’adorazione è la prima risposta che possiamo offrire all’amore gratuito e sorprendente di Dio.

Perché è stando lì, docili davanti a Lui, che lo riconosciamo Signore, lo mettiamo al primo posto e ritroviamo lo stupore di essere amati da Lui. Lo stupore dell’adorazione è essenziale nella Chiesa. Soprattutto in questo momento che abbiamo perso l’abitudine all’adorazione». Adorando, infatti, riconosciamo che Dio è il senso del vivere e ci scopriamo liberi. «Chi adora Dio», infatti, «rifiuta gli idoli perché, mentre Dio libera, gli idoli rendono schiavi. Ci ingannano e non realizzano mai ciò che promettono». Adoriamo un Dio vivente, che non è fatto «come lo penso io, che non dipende da quanto io attendo da lui, che può dunque sconvolgere le mie attese, proprio perché è vivo.

La riprova che non sempre abbiamo la giusta idea di Dio è che talvolta siamo delusi: mi aspettavo questo, mi immaginavo che Dio si comportasse così, e invece mi sono sbagliato. In tal modo ripercorriamo il sentiero dell’idolatria, volendo che il Signore agisca secondo l’immagine che ci siamo fatta di lui». Adorando, invece, ci rendiamo conto che non possiamo «controllare Dio», non possiamo rinchiudere «il suo amore nei nostri schemi. Invece, il suo agire è sempre imprevedibile, va oltre e perciò questo agire di Dio domanda stupore e adorazione. Lo stupore, tanto importante». E le idolatrie contro cui combattere sono sempre quelle dell’«affermazione di sé a ogni costo, «l’avidità di denaro, il diavolo entra dalle tasche, non dimentichiamolo, il fascino del carrierismo; ma anche quelle idolatrie camuffate di spiritualità: le mie idee religiose, la mia bravura pastorale… Vigiliamo, perché non ci succeda di mettere al centro noi invece che Lui. E torniamo all’adorazione».

Il Papa chiede a tutti di tornare davanti al tabernacolo perché la Chiesa «sia adoratrice: in ogni diocesi, in ogni parrocchia, in ogni comunità si adori il Signore! Perché solo così ci rivolgeremo a Gesù e non a noi stessi; perché solo attraversando il silenzio adorante della Parola di Dio Dio abiterà le nostre parole; perché solo davanti a Lui saremo purificati, trasformati e rinnovati dal fuoco del suo Spirito».

Ma amare, secondo verbo, è anche servire. «Nel grande comandamento Cristo lega Dio e il prossimo, perché non siano mai disgiunti. Non esiste una vera esperienza religiosa che sia sorda al grido del mondo. Non c’è amore di Dio senza coinvolgimento nella cura del prossimo, altrimenti si rischia il fariseismo. Magari abbiamo davvero tante belle idee per riformare la Chiesa, ma ricordiamo: adorare Dio e amare i fratelli col suo amore, questa è la grande e perenne riforma. Essere Chiesa adoratrice e Chiesa del servizio, che lava i piedi all’umanità ferita, accompagna il cammino dei fragili, dei deboli e degli scartati, va con tenerezza incontro ai più poveri».

Il Papa pensa «a quanti sono vittime delle atrocità della guerra; alle sofferenze dei migranti, al dolore nascosto di chi si trova da solo e in condizioni di povertà; a chi è schiacciato dai pesi della vita; a chi non ha più lacrime, a chi non ha voce. E penso a quante volte, dietro belle parole e suadenti promesse, vengono favorite forme di sfruttamento o non si fa nulla per impedirle. È un peccato grave sfruttare i più deboli, un peccato grave che corrode la fraternità e devasta la società. Noi, discepoli di Gesù, vogliamo portare nel mondo un altro lievito, quello del Vangelo: Dio al primo posto e insieme a Lui coloro che Egli predilige, i poveri e i deboli. Questa è la Chiesa che siamo chiamati a sognare: una Chiesa serva di tutti, serva degli ultimi. Chiesa che non esige mai una pagella di “buona condotta”, ma accoglie, serve, ama. Una Chiesa dalle porte aperte che sia porto di misericordia».

Di questo amore si è fatta esperienza nel corso del Sinodo. «In questa “conversazione dello Spirito” abbiamo potuto sperimentare la tenera presenza del Signore e scoprire la bellezza della fraternità», dice il Pontefice, «ci siamo ascoltati reciprocamente e soprattutto, nella ricca varietà delle nostre storie e delle nostre sensibilità, ci siamo messi in ascolto dello Spirito. Oggi non vediamo il frutto completo di questo processo, ma con lungimiranza possiamo guardare all’orizzonte che si apre davanti a noi: il Signore ci guiderà e ci aiuterà ad essere Chiesa più sinodale e più missionaria, che adora Dio e serve le donne e gli uomini del nostro tempo, uscendo a portare a tutti la consolante gioia del Vangelo».

Un cammino che continua e per il quale il Papa ringrazia i presenti. «Grazie per il cammino fatto insieme, per l’ascolto e per il dialogo. E nel ringraziarvi vorrei fare un augurio a tutti noi: che possiamo crescere nell’adorazione di Dio e nel servizio del prossimo. Adorare e servire. Il Signore ci accompagni. E avanti, con gioia!».