Il Signore ci chiederà conto del perché, avendone le possibilità, non abbiamo sfamato chi era senza cibo e non abbiamo protetto gli indifesi. Papa Francesco celebra la settima Giornata mondiale dei poveri e richiama al dovere di ciascun cristiano: moltiplicare l’amore di Dio

Sono invisibili, dimenticati dal mondo, scartati dai potenti. Papa Francesco , nella Settima Giornata mondiale dei poveri, li chiama, invece, a essere protagonisti. Una messa, nella basilica di San Pietro, dove hanno i posti d’onore, e poi il pranzo con loro nell’aula Paolo VI. Sono arrivati fin dalla mattina. Hanno messo l’abito buono e si sono preparati per ascoltare le parole del Pontefice. Di tutti i Continenti, da tante parrocchie romane, persino dalla strada sono arrivati per stare accanto al Papa. «La povertà è uno scandalo», dice Francesco. «Quando il Signore tornerà ce ne chiederà conto e – come scrive sant’Ambrogio – ci dirà: “Perché avete tollerato che tanti poveri morissero di fame, quando possedevate oro con il quale procurarvi cibo da dare a loro? Perché tanti schiavi sono stati venduti e maltrattati dai nemici, senza che nessuno si sia dato da fare per riscattarli?”».

Il Papa spiega la parabola del Vangelo, quella dei talenti, per soffermarsi sul viaggio del padrone che, prima di partire, lascia le ricchezze ai servi, in misura diversa, e su quello di ciascuno di noi. «Due percorsi: il viaggio di Gesù e il viaggio della nostra vita». Concludendo la sua vicenda terrena», spiega il Pontefice, «Gesù compie il suo “viaggio di ritorno” presso il Padre. Ma, prima di partire, ci ha consegnato i suoi beni, un vero e proprio “capitale”: ci ha lasciato sé stesso nell’Eucaristia, la sua Parola di vita, la sua santa Madre come nostra Madre, e ha distribuito i doni dello Spirito Santo perché noi possiamo continuare la sua opera nel mondo». Gesù, continua il Pontefice, «si è rivestito della nostra fragile umanità, ha lenito come buon samaritano le nostre ferite, si è fatto povero per arricchirci della vita divina, è salito sulla croce. Lui, che era senza peccato, “Dio lo fece peccato in nostro favore”. In nostro favore. Gesù ha vissuto per noi, in nostro favore. Ecco che cosa ha animato il suo viaggio nel mondo prima di tornare al Padre».

Quando però il padrone della parabola torna per regolare i conti con i servi, il Vangelo fa riferimento al viaggio che Gesù compirà alla fine dei tempi, «quando tornerà nella gloria e ci vorrà incontrare di nuovo, per “fare il rendiconto” della storia e introdurci nella gioia della vita eterna». Francesco chiede a ciascuno di domandarsi  «come ci troverà il Signore quando tornerà? Come mi presenterò all’appuntamento con Lui? Questo interrogativo ci porta al secondo momento: il viaggio della nostra vita. Quale strada percorriamo noi, quella di Gesù che si è fatto dono oppure la strada dell’egoismo?». Ciascuno ha ricevuto dei doni, «ha ricevuto i “talenti”. Attenzione: non lasciamoci ingannare dal linguaggio comune: qui non si tratta delle capacità personali, ma, come dicevamo, dei beni del Signore, di ciò che Cristo ci ha lasciato tornando al Padre. Con essi Egli ci ha donato il suo Spirito, nel quale siamo diventati figli di Dio e grazie al quale possiamo spendere la vita testimoniando il Vangelo ed edificando il Regno di Dio. Il grande “capitale” che ci è stato messo nelle mani è l’amore del Signore, fondamento della nostra vita e forza del nostro cammino».

Che ne abbiamo fatto di questo capitale? «La parabola ci dice che i primi due servi moltiplicano il dono ricevuto, mentre il terzo, più che fidarsi del suo signore, ne ha paura e rimane come paralizzato, non rischia, non si mette in gioco, finendo per sotterrare il talento. E questo vale anche per noi: possiamo moltiplicare quanto abbiamo ricevuto, facendo della vita un’offerta d’amore per gli altri, oppure possiamo vivere bloccati da una falsa immagine di Dio e per paura nascondere sotto terra il tesoro che abbiamo ricevuto, pensando solo a noi stessi, senza appassionarci a niente se non ai nostri comodi e interessi, senza impegnarci».

La Giornata mondiale dei poveri è un momento per verificare «con quale spirito stiamo affrontando il viaggio della vita. Abbiamo ricevuto dal Signore il dono del suo amore e siamo chiamati a diventare dono per gli altri». Francesco insiste: «Le immagini usate dalla parabola sono molto eloquenti: se non moltiplichiamo l’amore attorno a noi, la vita si spegne nelle tenebre; se non mettiamo in circolo i talenti ricevuti, l’esistenza finisce sottoterra, cioè è come se fossimo già morti». E invita a pensare «alle tante povertà materiali, culturali e spirituali del nostro mondo, alle esistenze ferite che abitano le nostre città, ai poveri diventati invisibili, il cui grido di dolore viene soffocato dall’indifferenza generale di una società indaffarata e distratta.

Pensiamo a quanti sono oppressi, affaticati, emarginati, alle vittime delle guerre e a coloro che lasciano la loro terra rischiando la vita; a coloro che sono senza pane, senza lavoro e senza speranza. Pensando a questa immensa moltitudine di poveri, il messaggio del Vangelo è chiaro: non sotterriamo i beni del Signore! Mettiamo in circolo la carità, condividiamo il nostro pane, moltiplichiamo l’amore!». Perché solo così, quando Gesù tornerà alla fine dei tempi, potremo sentirci dire: «Bene, servo buono e fedele […] prendi parte alla gioia del tuo padrone».