Semplicemente sapienti o anche re? Solo tre o in numero maggiore? Bianchi o di colore? E soprattutto di quale provenienza? Partendo dai 12 versetti di Matteo, ricostruiamo la loro carta d’identità
I magi questi (s)conosciuti. Si potrebbe titolare così l’atteggiamento generale nei confronti dei “misteriosi” personaggi che il 6 gennaio portano i doni a Gesù Bambino, la cui carta di identità “ufficiale” (contenuta nel Vangelo di Matteo) è stata arricchita nel corso dei secoli da una lunga, fantasiosa e multiforme tradizione. Dunque conosciuti, anzi conosciutissimi, perché in ogni presepe che si rispetti non mancano mai, ma al contempo anche sconosciuti, perché nell’immaginario collettivo i confini tra realtà e invenzione sono spesso molto labili. Ad esempio: semplicemente magi o anche re? Solo tre o in numero maggiore? Bianchi o di colore? E soprattutto di quale provenienza? E con quale significato hanno un posto nella Scrittura?
A quest’ultima domanda molte sono le risposte nella catechesi, nella predicazione e nella teologia. Valga per tutte quella che diede papa Francesco nell’omelia dei 6 gennaio 2016: “I Magi – disse il Pontefice rappresentano gli uomini di ogni parte della terra che vengono accolti nella casa di Dio. Davanti a Gesù non esiste più divisione alcuna di razza, di lingua e di cultura: in quel Bambino, tutta l’umanità trova la sua unità”.
Per tutti gli altri quesiti vale la pena di soffermarsi su alcuni particolari. Anche perché nel loro viaggio attraverso il tempo, i magi hanno avuto una fortuna inversamente proporzionale al breve episodio di cui sono protagonisti nel Nuovo Testamento. Di essi infatti si narra unicamente nei primi dodici versetti del secondo capitolo del Vangelo di Matteo. E tutto ciò che ricaviamo sulla loro identità dal racconto dell’evangelista è racchiuso in tre semplici parole: “Giunsero da oriente”. Non si dice invece che i magi erano tre, né che erano re, né tanto meno si fanno i loro nomi. Da dove derivano, dunque, questi particolari? Attingendo al molto che è stato scritto sull’argomento da autorevoli studiosi, vediamo di separare il “grano” della storia dal “loglio” delle leggende.
La carta di identità dei magiInnanzitutto è da respingere la tesi formulata ai nostri giorni che i magi di cui parla Matteo non siano mai esistiti e che l’evangelista li abbia inseriti nella sua narrazione solo a scopo didattico: attestare cioè che la divinità di Gesù era stata riconosciuta presso tutte le genti fin dalla nascita.Fa fede per loro la stessa parola magi, che è una carta di identità ben conosciuta nell’antichità. Quasi cinquecento anni prima che l’apostolo scrivesse il suo Vangelo, ne parla anche lo storico greco Erodoto, che li descrive come una delle sei tribù dei Medi, un antico popolo iranico stanziato in gran parte dell’odierno Iran centrale e occidentale, a sud del mar Caspio. Essi precisamente costituivano la casta sacerdotale ed erano perciò sacerdoti della religione mazdea (credevano nel Dio unico Ahura Mazda), il cui culto fu riformato nel VI secolo a.C. da Zarathustra. Coltivavano anche l’astronomia ed erano dediti all’interpretazione dei sogni, come attestano fonti storiche riguardanti, ad esempio, l’imperatore persiano Serse.
In quanto astronomi è dunque plausibile che si siano messi in viaggio seguendo una “stella”. Tra l’altro, nel loro credo si parla di un Messia o «Soccorritore», nato da una vergine e annunziato da una stella, destinato a salvare il mondo. A tal proposito lo storico Franco Cardini scrive: “Matteo, povero pubblicano, dei magi mazdei non doveva sapere un bel niente o quasi: com’è che con tanta sostanziale esattezza ha mostrato reminiscenze che noi conosciamo soltanto dall’Avesta, giuntoci peraltro attraverso redazioni tardive e non anteriori comunque al III secolo d.C.?”. L’Avesta è, potremmo dire, la Bibbia, ossia il testo della rivelazione,
Dove irrompe la tradizione
La fantasia dei popoli e delle culture si è invece esercitata, lungo i duemila anni della storia cristiana, per dare un volto, un nome e un «curriculum» ai magi evangelici. E qui vengono in primo piano i Vangeli apocrifi, cioè non ispirati, che la Chiesa ha sempre tenuto a debita distanza in quanto sovente si tratta di elaborazioni derivanti da eresie (soprattutto quella monofisita, tendente ad attribuire a Gesù la sola natura divina, e quella nestoriana, che professa la totale separazione tra le due nature, umana e divina, del Cristo). I Vangeli apocrifi, però, erano molto diffusi e hanno dato linfa alle tradizioni stratificatesi tra l’VIII e il XII secolo dell’era cristiana. Ad ogni modo, come ricorda Cardini, la maggior parte delle nostre conoscenze tradizionali sui magi deriva da due fonti: la translatio delle loro supposte reliquie da Milano a Colonia, voluta da Federico Barbarossa nel 1164, e il testo del domenicano Giacomo da Varazze, vescovo di Genova alla fine del Duecento e autore della Legenda Aurea, testo composto tra il 1260 e il 1298, anno della morte dell’autore.
Perché re e perché proprio tre?