Non a caso, pochi giorni dopo la sua elezione, Bergoglio diede un consiglio di lettura suggerendo il libro di Walter Kasper Misericordia, che in un passo fornisce un’indicazione fondamentale rispetto al tema della giustizia umana e di quella divina. Eccolo: « Il comandamento dell’amore dei nemici è davvero realistico? Non è qualcosa di utopico e una richiesta esagerata per l’uomo? Come può una madre amare l’assassino di suo figlio? Può perdonarlo? Dove andiamo a finire, se non resistiamo al malvagio, se perdoniamo invece di chiedere giustizia? Così non viene premiato colui che ha commesso un’ingiustizia? Heinrich Heine, Friedrich Nietzsche, Sigmund Freud e altri hanno posto criticamente e polemicamente simili domande; per Freud il comandamento dell’amore dei nemici fa parte di un credo quia absurdum est».
«Riparare il mondo dal disordine causato dall’uomo con le sue azioni malevole – scrive ancora l’autore – è per la Bibbia un imperativo che fa tutt’uno con l’“è giusto”: non ciò che è giusto per me o per una determinata epoca storica, bensì ciò che tendenzialmente dovrebbe esserlo per tutti». Un concetto che ribalta quanto sancito dal diritto romano e dal diritto positivo in generale, in cui l’“è giusto” significa dare a ciascuno il suo. Il Vangelo, ad esempio nella parabola dei lavoratori dell’ultima ora narrata da Matteo, ribalta completamente questa logica: il padrone destina a tutti coloro che si sono recati nella vigna, sia a inizio che a fine giornata, la stessa retribuzione, suscitando scandalo nei primi per essere trattati come gli ultimi.
La giustizia di Dio non ha gli stessi parametri che noi pensiamo: «Il suo essere giusto rimanda a un qualcosa di più profondo, inaccessibile all’uomo psichico, che consiste nel suo essere un Dio di gratuità e misericordia». Il saggio ricostruisce anche l’evoluzione del concetto di peccato in Occidente, riprendendo in gran parte gli studi del grande storico francese Jean Delumeau, con la prevalenza della demonizzazione del corpo e dell’identificazione della colpa con la sfera sessuale. Ma anche in questo caso Di Sante capovolge il discorso riallacciandosi al tema della benedizione divina.
L’In-carnazione di Cristo è un ulteriore segno della bontà divina che ha posto l’uomo nell’orizzonte della libertà. E che l’ha condotto ad essere artefice del bene e del male. Un male che si è esplicitato durante i secoli con evidenza a volte terribile, anche e soprattutto nel ‘900, al punto che vari pensatori, anche ebrei e cristiani, dopo la Shoah, «di fronte all’abnormità del male mai prima raggiunta nella storia umana hanno teorizzato l’impotenza di Dio e la sua scomparsa». Ma, aggiunge Di Sante, «non è questa la risposta biblica, per la quale Dio non soltanto non si assenta dalla storia di infedeltà dell’uomo e dagli inferni di sofferenza e violenza da lui creati, ma vi si lascia coinvolgere con una radicalità di amore inaudito e impensabile: il perdono ». Una prospettiva che può spalancare pace e giustizia ove c’è guerra, ieri come oggi. Solo il perdono può trasformare «l’offensore e l’offeso – resisi nemici – in amici».