Padre Cantalamessa ricorda che ci vuole poca potenza per mettersi in mostra, tanta invece per mettersi da parte, per farsi umile, per servire come Dio fa attraverso suo Figlio
«Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono» (Gv 8,28). È la parola che Gesù pronunciò al termine di una accesa disputa con i suoi contraddittori. C’è un crescendo rispetto ai precedenti «IO SONO» pronunciati da Gesù nel Vangelo di Giovanni. Egli non dice più: «Io sono questo o quello: il pane della vita, la luce del mondo, la risurrezione e la vita…». Dice semplicemente «Io Sono», senza specificazione. Ciò dà alla sua dichiarazione una portata assoluta, metafisica. Richiama intenzionalmente le parole di Esodo 3,14 e Isaia 43,10-12, in cui Dio stesso proclama il suo divino «IO SONO».
L’inaudita novità di questa parola di Cristo si scopre soltanto se si fa attenzione a ciò che precede l’autoaffermazione di Cristo: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo», è allora che conoscerete che «IO SONO». Come dire: Quello che io sono – e, perciò, «quello che Dio è» – si conoscerà soltanto dalla croce. L’espressione «essere innalzato», nel Vangelo di Giovanni, si riferisce, si sa, all’evento della croce!
Siamo dinanzi a un totale rovesciamento dell’idea umana di Dio e, in parte, anche di quella dell’Antico Testamento. Gesú non è venuto a ritoccare e perfezionare l’idea che gli uomini si sono fatti di Dio, ma, in certo senso, a rovesciarla e rivelare il vero volto di Dio. È quello che l’Apostolo Paolo, per primo, ha capito quando scrive: Poiché infatti, nel disegno sapiente di Dio, il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio salvare i credenti con la stoltezza della predicazione. Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. (1 Cor 1,21-24).
Intesa in questa luce, la parola di Cristo assume una portata universale che interpella chi la legge, in qualsiasi epoca e situazione, compresa la nostra. Quel rovesciamento dell’idea di Dio, infatti, è sempre da operare. L’idea di Dio che Gesù è venuto a cambiare, purtroppo, ce la portiamo tutti dentro, nel nostro inconscio. Si può parlare di un Dio unico, puro spirito, ente supremo, e via dicendo. Ma come riuscire a vederlo nell’annientamento della sua morte in croce?
Dio è onnipotente, certo; ma di che potenza si tratta? Di fronte alle creature umane, Dio si trova sprovvisto di ogni capacità, non soltanto costrittiva, ma anche difensiva. Non può intervenire di autorità per imporsi a loro. Non può fare altro che rispettare, in misura infinita, la libera scelta degli uomini. Ed ecco allora che il Padre rivela il vero volto della sua onnipotenza nel suo Figlio che si mette in ginocchio davanti ai discepoli per lavare loro i piedi; in lui che, ridotto alla più radicale impotenza sulla croce continua ad amare e perdonare, senza mai condannare.
La vera onnipotenza di Dio è la totale impotenza del Calvario. Ci vuole poca potenza per mettersi in mostra; ce ne vuole molta, invece, per mettersi da parte, per cancellarsi. Dio è questa illimitata potenza di nascondimento di sé! Exinanivit semetipsum: annientò se stesso (Fil 2, 7). Alla nostra “volontà di potenza”, egli ha opposto la sua volontaria impotenza. Che lezione per noi che, più o meno consciamente, vogliamo sempre metterci in mostra! Che lezione soprattutto per i potenti della terra! Per quelli tra essi che neppure remotamente pensano a servire, ma solo al potere per il potere; quelli –dice Gesù nel Vangelo– che «opprimono i popoli» e, per giunta, «si fanno chiamare benefattori» (cf. Mt 20,25; Lc 22,25).
Ma il trionfo di Cristo nella sua risurrezione non rovescia questa visione, riaffermando l’onnipotenza invincibile di Dio? Sì, ma in senso ben diverso da quello che siamo soliti pensare. Ben diverso dai “trionfi” che si celebravano al ritorno dell’imperatore da campagne vittoriose, lungo una via che ancora oggi, in Roma, porta il nome di “Via Trionfale”. Un trionfo c’è stato, certo, nel caso di Cristo, e un trionfo definitivo e irreversibile! Ma come si manifesta questo trionfo? La risurrezione avviene nel mistero, senza testimoni. La sua morte –abbiamo sentito dal racconto della Passione – era stata vista da una grande folla e aveva coinvolto le massime autorità religiose e politiche. Da risorto, Gesù appare soltanto a pochi discepoli, fuori dai riflettori. Con ciò ha voluto dirci che dopo aver sofferto, non bisogna aspettarsi un trionfo esteriore, visibile, come una gloria terrena. Il trionfo è dato nell’ invisibile ed è di ordine infinitamente superiore perché è eterno! I martiri di ieri e di oggi ne sono la prova. Il Risorto si manifesta attraverso le sue apparizioni, in modo sufficiente per fornire un fondamento solidissimo alla fede, per chi non rifiuta a priori di credere; ma non è una rivincita che umilia i suoi avversari. Non appare in mezzo a loro per dimostrare che hanno sbagliato e per prendersi gioco della loro ira impotente. Ogni vendetta sarebbe incompatibile con l’amore che Cristo ho voluto testimoniare agli uomini con la sua passione. Egli si comporta umilmente nella gloria della risurrezione come nell’annientamento del Calvario. La preoccupazione di Gesú risorto non è di confondere i suoi nemici, ma di andare subito a rassicurare i suoi discepoli smarriti e, prima di loro, le donne che non avevano mai smesso di credere in lui.
In passato si parlava volentieri del “trionfo della Santa Chiesa”. Si pregava per esso e se ne ricordavano i momenti e le ragioni storiche. Però, che tipo di trionfo si aveva in mente? Oggi ci rendiamo conto di quanto quel tipo di trionfo fosse diverso da quello di Gesú. Ma non giudichiamo il passato. Si rischia sempre di essere ingiusti, quando si giudica il passato con la mentalità del presente.
Raccogliamo piuttosto l’invito che Gesù rivolge al mondo dall’alto della sua croce: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e stanchi e io vi darò ristoro” (Mt 11, 28). Ci sarebbe quasi da pensare a una ironia, a una presa in giro! Uno che non ha, lui stesso, una pietra su cui posare il capo, uno che è stato rifiutato dai suoi, condannato a morte, uno “davanti al quale ci si copre la faccia per non vedere” (cf. Is 53,3), si rivolge all’umanità intera, di tutti i luoghi e di tutti i tempi, e dice “Venite a me, voi tutti, e io vi darò ristoro!”
Vieni tu che sei anziano, malato e solo, tu che il mondo lascia morire nella miseria, nella fame, o sotto le bombe; tu che per la tua fede in me, o la tua lotta per la libertà, languisci in una cella di prigione; vieni tu, donna, vittima della violenza. Insomma tutti, nessuno escluso: Venite a me e io vi darò ristoro! Non ho forse promesso solennemente: “E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12, 32)? Ma che ristoro, puoi darci tu, o uomo della croce, tu più derelitto e affaticato di quelli che vuoi consolare? “Venite a me, perché IO SONO! Io sono Dio! Ho rinunciato alla vostra idea di onnipotenza, ma conservo intatta la mia onnipotenza che è l’onnipotenza dell’amore. Sta scritto: “La debolezza di Dio è più forte degli uomini” (1 Cor 1,25). Io posso dare ristoro, anche senza togliere la fatica e la stanchezza in questo mondo. Chiedetelo a chi ne ha fatto l’esperienza! Sì, o Signore crocifisso, con il cuore gonfio di gratitudine, nel giorno in cui commemoriamo la tua passione e morte, con il tuo apostolo Paolo noi proclamiamo con tutta la nostra voce: Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? […] Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore (Rom 8, 35-39).