Erano le tre del pomeriggio. «Si fece buio su tutta la terra». Il male è sempre mondiale, genera male e non rispetta anagrafi e frontiere! E poi chi uccide un uomo uccide il mondo intero. A chi perde qualcuno che ama si spegne il mondo intero, si diventa dei sopravvissuti, la vita è senza luce e futuro. Era morto Gesù. Era un condannato, ucciso con il terribile supplizio della croce. Anche nei nostri giorni si è fatto buio, terribile, su tutta la terra. Non solo a Kiev e in Terra Santa. All’alba del primo giorno dopo il sabato, di quell’aprile lontano, alcune donne erano andate alla tomba di Gesù. Loro non smettono di amare, di compiere gesti di pietà, quelli che agli uomini appaiono inutili. Loro vanno. Loro videro la tomba vuota. All’inizio ebbero paura: temettero che qualcuno lo avesse trafugato.
A volte abbiamo paura della gioia! La realtà era diversa: Gesù era risorto. Non tornato in vita, come Lazzaro qualche giorno prima, ma appunto “risorto”, ossia trasformato così radicalmente da aver vinto una volta per tutte la morte. Era iniziato il mondo nuovo che Gesù per tre anni aveva predicato, che aveva confidato a discepoli distratti perché intenti nell’infinita e divisiva discussione su chi fosse il più grande.
Da quella Pasqua il mondo è stato liberato per sempre dal potere del Male. Il Vangelo continua a ripeterlo. Lo fa anche quest’anno, immersi come siamo tutti in un buio fitto per le guerre che avvolgono il mondo. Papa Francesco continua a parlare di «guerra mondiale a pezzi». Ma il mondo lo stiamo già “facendo a pezzi” e questi si stanno collegando tra loro sempre più pericolosamente. La guerra in Ucraina è in diretta planetaria: passa dal terreno, agli schermi e alla gente. Tutti vediamo il mondo cadere a pezzi. La Chiesa lo vede con gli occhi di Maria, la madre di Gesù e nostra, quella che ci è affidata e che possiamo prendere con noi, nella nostra casa. Lei resta sotto quella sofferenza, trafitta dalla spada di una violenza senza senso che le uccide il figlio. Qualcuno teorizza che è necessario far continuare la guerra, come se fosse la più normale delle realtà e se fosse l’unica forza, anzi la vera forza indispensabile per sopravvivere.
Tutti corrono al riarmo. Tutti, proprio tutti. Anche quelli che hanno ereditato la scelta di ripudiare la guerra e quindi l’impegno (quanto disatteso!) di trovare altri modi per arrivare alla pace che non siamo le armi. Tanto che lo dichiarano impossibile. Chi grida di fermare la guerra non solo non è ascoltato, viene anche irriso, come a dire che non si rende conto, che ha buone intenzioni ma fuori dal mondo. In ogni caso è un grido che si perde nel vuoto.
Ma ecco irrompere l’annuncio della Pasqua: Gesù è risorto! L’angelo mandato da Dio a quelle donne – ed anche a noi oggi – dice: «Perché cercate tra i morti colui che è risorto?» La Pasqua è tutta qui: «Quel Gesù che avete crocifisso ha sconfitto la morte per sempre. Egli vi incontra da risorto perché tutti possiamo risorgere». Un evento per il mondo intero, per tutti gli uomini e le donne, di ogni tempo. È un Vangelo globale. E attualissimo.
A noi cristiani spetta il compito esaltante e anche drammatico – non pochi cristiani hanno pagato questo annuncio con la loro morte – di comunicare a tutti questo Vangelo: la vittoria del bene sul male, dell’amore sull’odio, della liberazione sull’oppressione, della giustizia sull’ingiustizia, della vita sulla morte. E non con la forza delle armi. Solo con la forza debole dell’amore, di quell’amore che porta a dare la vita per gli altri. Non a toglierla. È la missione storica dei cristiani di sempre, e oggi in particolare. In questi giorni. Sarebbe gravissimo tradirla, anche solo con la complicità alla rassegnazione alla guerra.
Gesù ha accettato la crocifissione per mostrare al mondo la ragione della vita, l’unica scelta che genera vita e le dà senso: amare gli altri più di sé stessi. È questa, solo questa, la forza che trasforma il mondo e apre la via della pace, che fa risorgere gli uomini dagli “inferni” di questo mondo. Nella tradizione cristiano-ortodossa l’icona della risurrezione mostra Gesù, disceso agli inferi, che stende le sue braccia nel buio della morte e trae con sé, tirandoli fuori, Adamo ed Eva. È il lavoro che il Risorto ha compiuto il Sabato Santo.
La tradizione cristiana dice che “scese agli inferi”. Sì, ancora oggi Gesù scende negli innumerevoli “inferni” di questo mondo e chiede anche a noi di scendere con lui e liberarne i prigionieri, i sequestrati, i feriti, i confusi. Si dice: “Natale con i tuoi e Pasqua con chi vuoi”. No! Direi: “Natale con i poveri” e “Pasqua negli inferni del mondo”! Quanti inferni! Anche vicini. Penso all’inferno di anziani abbandonati nella solitudine, di chi è sprofondato nell’angoscia o prigioniero di dipendenze, chi è senza casa, senza speranza o semplicemente solo. Dio non lascia nessuno solo. Noi sì? Penso agli inferni di interi Paesi che spengono i cuori e la gioia di vivere in Ucraina, in Israele, a Gaza e agli innumerevoli inferni che sono in Africa, in Medio Oriente (chi ricorda più la Siria?), ai campi profughi che sono “inferni” a cielo aperto o alle drammatiche periferie delle megalopoli o ai villaggi dell’Africa dove la vita non vale niente!
Ecco la Pasqua di cui il mondo intero ha bisogno: uomini e donne credenti o comunque di buona volontà che scendono con il Risorto nel buio degli inferni di questo mondo per stendere con Gesù le loro mani e trarre in salvo tutti. Basta poco. Gli inferni, dobbiamo svuotarli. Possiamo svuotarli. Cristo ha vinto il male e accende la fede per combatterlo. Ecco la “Buona Pasqua!”. Pensate se tutti, ma proprio tutti, i cristiani del mondo, siano pure divisi su tutto il resto, e con loro gli uomini di buona volontà, il giorno di Pasqua potessero dire ad una sola voce e simultaneamente almeno questo: basta, la guerra non salva nulla e nessuno. La guerra distrugge tutto e tutti e non rinforza nessuna identità, nessuna convivenza, nessuna religione. Perché la guerra avvelena tutti i pozzi, in tutte le latitudini. In questa corale confessione del contagio che la guerra diffonde su tutto e tutti, prende luce e dona forza l’annuncio coraggioso della fede, contagio di amore. Ecco la “Buona Pasqua!”.
Arcivescovo di Bologna e presidente della Conferenza episcopale italiana