La similitudine del Buon Pastore, nella quale Gesù si identifica, ha colpito da subito l’immaginario dei cristiani, tanto da diventare la prima immagine di Gesù, appena superato il divieto di dipingerlo o di scolpirlo, ereditato dall’ebraismo. L’attrattiva, però, non deriva direttamente dal brano dal vangelo secondo Giovanni, che la liturgia ci proclama in questa domenica, ma dal richiamo al pastore dell’evangelista Luca, quello della pecora perduta e ritrovata. Il messaggio dei due brani ne ha aumentata la bellezza con il rischio, però, di averne diminuito la forza. Nel brano di Giovanni troviamo, infatti, affermazioni forti e impegnative, a partire da quella perentoria dell’inizio: «Io sono il buon pastore», e poi nella descrizione delle sue prerogative: «Il buon pastore dà la propria vita per le pecore», non fugge come il mercenario che le abbandona quando vede venire il lupo. Bella l’immagine della pecorella sulle spalle, ma molto impegnativa la decisione di collaborare con il pastore a portarne il peso, e a seguirlo nel suo dare la vita per le pecore.
Conoscere è condividere
«Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me», afferma Gesù. “Conoscere” per noi significa sapere nome, cognome, professione… Nel linguaggio biblico vuol dire un profondo rapporto, praticamente un’immedesimazione, una “carne sola”. La conoscenza del pastore Gesù comporta unirsi alla sua prerogativa: dare la vita per gli altri.
Questo vale per tutti, anche per coloro che noi definiamo “pastori”: il papa, i vescovi, i sacerdoti. Essi per essere pecore di Gesù devono svolgere il loro servizio con la disponibilità a dare la vita. È necessario e urgente abbandonare del tutto la concezione della Chiesa, ovile di Gesù, a due categorie: i pastori (il clero) e le pecore (i fedeli). Questa idea di Chiesa è fortemente radicata «sia nei pastori che nei fedeli. La Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni che oggi si celebra, iniziò per volontà di Giovanni XXIII nel 1961 come “Giornata nazionale per le vocazioni ecclesiastiche”, cioè per ottenere più “operai per la messe del Signore”, cioè tanti sacerdoti e tanti religiosi» e ha creato e crea ancora fedeli disinteressati alla vita della comunità, perché demandano tutto al clero. Non è così. Tutti i cristiani, dal Papa al cristiano ultimo arrivato, sono pecore di Gesù che accolgono la sua chiamata e svolgono il loro servizio “dando la vita” come e con il Pastore Buono.
Papa Francesco ha compiuto passi decisivi per superare questa mentalità. Nel suo tradizionale messaggio per la “Giornata” di quest’anno, scrive: «Questa Giornata è sempre una bella occasione per ricordare con gratitudine davanti al Signore l’impegno fedele, quotidiano e spesso nascosto di coloro che hanno abbracciato una chiamata che coinvolge tutta la loro vita. Penso alle mamme e ai papà che non guardano anzitutto a sé stessi e non seguono la corrente di uno stile superficiale, ma impostano la loro esistenza sulla cura delle relazioni, con amore e gratuità, aprendosi al dono della vita e ponendosi al servizio dei figli e della loro crescita. Penso a quanti svolgono con dedizione e spirito di collaborazione il proprio lavoro; a coloro che si impegnano, in diversi campi e modi, per costruire un mondo più giusto, un’economia più solidale, una politica più equa, una società più umana: a tutti gli uomini e le donne di buona volontà che si spendono per il bene comune. Penso alle persone consacrate, che offrono la propria esistenza al Signore nel silenzio della preghiera come nell’azione apostolica… E penso a coloro che hanno accolto la chiamata al sacerdozio ordinato e si dedicano all’annuncio del Vangelo e spezzano la propria vita, insieme al Pane eucaristico, per i fratelli».
Pecore di Gesù
Il “dare la vita” spaventa, e il rischio di non essere pecore di Gesù, ma del gregge è sempre in agguato, tanto più nei momenti in cui dal fiume degli istinti sembra tracimare il peggio della violenza, della sopraffazione, della cattiveria e dell’ancora più micidiale indifferenza, come la cronaca dimostra. Ha impressionato in questi giorni la foto di un giovane che, mentre i soccorritori si danno da fare per salvare le vittime di un incidente d’auto, lui tranquillo, a giusta distanza, si scatta un selfie per far sapere sui social che lui c’era… a guardare. Non meno significativa la rissa di due ragazzine che picchiano una terza mentre le altre invece di fermarle le filmano; peggio ancora due ragazzi che massacrano di botte un senzatetto invalido. Non facciamo selfie e lamenti. Il Buon Pastore ci chiede di cercare la “pecora perduta” e di caricarcela con lui sulle spalle.