«È la grande antagonista» della superbia, dei «deliri di onnipotenza, tanto pericolosi» che albergano nel cuore umano: si tratta dell’umiltà, che significa soprattutto «percezione della propria piccolezza». Lo ha spiegato il Papa all’udienza generale di stamane, mercoledì 22 maggio, in piazza San Pietro. Concludendo il ciclo di venti catechesi sui vizi e sulle virtù, iniziato lo scorso 27 dicembre, il Pontefice si è soffermato sul tema dell’umiltà.

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Concludiamo questo ciclo di catechesi soffermandoci su una virtù che non fa parte del settenario di quelle cardinali e teologali, ma che è alla base della vita cristiana: questa virtù è l’umiltà. Essa è la grande antagonista del più mortale tra i vizi, vale a dire la superbia. Mentre l’orgoglio e la superbia gonfiano il cuore umano, facendoci apparire più di quello che siamo, l’umiltà riporta tutto nella giusta dimensione: siamo creature meravigliose ma limitate, con pregi e difetti. La Bibbia dall’inizio ci ricorda che siamo polvere e in polvere ritorneremo (cfr Gen 3, 19), “Umile” infatti deriva da humus, cioè terra. Eppure nel cuore umano sorgono spesso deliri di onnipotenza, tanto pericolosi, e questo ci fa tanto male.

Per liberarci dalla superbia basterebbe molto poco, basterebbe contemplare un cielo stellato per ritrovare la giusta misura, come dice il Salmo: «Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissato, che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi?» (8, 4-5). La scienza moderna ci permette di estendere l’orizzonte molto molto di più, e di sentire ancora maggiormente il mistero che ci circonda e che ci abita.

Beate le persone che custodiscono in cuore questa percezione della propria piccolezza! Queste persone sono preservate da un vizio brutto: l’arroganza. Nelle sue Beatitudini, Gesù parte proprio da loro: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5, 3). È la prima Beatitudine perché sta alla base di quelle che seguono: infatti la mitezza, la misericordia, la purezza di cuore nascono da quel senso interiore di piccolezza. L’umiltà è la porta d’ingresso di tutte le virtù.

Nelle prime pagine dei Vangeli, l’umiltà e la povertà di spirito paiono essere la fonte di tutto. L’annuncio dell’angelo non avviene alle porte di Gerusalemme, ma in uno sperduto paesino di Galilea, talmente insignificante che la gente diceva: «Da Nazaret può venire qualcosa di buono?» (Gv 1, 46). Ma è proprio da lì che il mondo rinasce. L’eroina prescelta non è una reginetta cresciuta nella bambagia, ma una ragazza sconosciuta: Maria. La prima ad essere stupita è lei stessa, quando l’angelo le porta l’annuncio di Dio. E nel suo cantico di lode, risalta proprio questo stupore: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva» (Lc 1, 46-48). Dio — per così dire — è attratto dalla piccolezza di Maria, che è soprattutto una piccolezza interiore. Ed è attratto anche dalla nostra piccolezza, quando noi la accettiamo.

Da qui in avanti Maria si guarderà bene dal calcare il palcoscenico. La sua prima decisione dopo l’annuncio angelico è andare ad aiutare, andare a servire la cugina. Maria si dirige verso i monti di Giuda, per fare visita a Elisabetta: la assiste negli ultimi mesi di gravidanza. Ma chi vede questo gesto? Nessuno, se non Dio. Da questo nascondimento, la Vergine sembra non volere uscire mai. Come quando dalla folla la voce di una donna proclama la sua beatitudine: «Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!» (Lc 11, 27). Ma Gesù subito risponde: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano» (Lc 11, 28). Nemmeno la verità più sacra della sua vita — l’essere Madre di Dio — diventa per lei motivo di vanto davanti agli uomini. In un mondo che è una rincorsa ad apparire, a dimostrarsi superiori agli altri, Maria cammina decisamente, con la sola forza della grazia di Dio, in direzione contraria.

Possiamo immaginare che anche lei abbia conosciuto momenti difficili, giorni in cui la sua fede avanzava nell’oscurità. Ma questo non ha mai fatto vacillare la sua umiltà, che in Maria è stata una virtù granitica. Questo voglio sottolinearlo: l’umiltà è una virtù granitica. Pensiamo a Maria: lei è sempre piccola, sempre spoglia di sé, sempre libera da ambizioni. Questa sua piccolezza è la sua forza invincibile: è lei che rimane ai piedi della croce, mentre l’illusione di un Messia trionfante va in frantumi. Sarà Maria, nei giorni precedenti la Pentecoste, a raccogliere il gregge dei discepoli, i quali non erano stati capaci di vegliare un’ora soltanto con Gesù, e lo avevano abbandonato al sopraggiungere della tempesta.

Fratelli e sorelle, l’umiltà è tutto. È ciò che ci salva dal Maligno, e dal pericolo di diventare suoi complici. E l’umiltà è la fonte della pace nel mondo e nella Chiesa. Dove non c’è umiltà c’è guerra, c’è discordia, c’è divisione. Dio ce ne ha dato l’esempio in Gesù e in Maria, perché sia la nostra salvezza e la nostra felicità. E l’umiltà è proprio la via, il cammino alla salvezza. Grazie!