Floris Giuseppina

(Irgoli (NU) 08/07/1932 e nata al cielo 20/11/1992)

 

Primogenita di sei fratelli in una famiglia dedita al lavoro agro-pastorale e ricca di fede semplice e schietta, Giuseppina già a nove anni manifestò i primi sintomi di un male sottile ed oscuro, dalla diagnosi difficoltosa, che inesorabilmente le limitava le possibilità di movimento e la isolava sempre più, anche in campo affettivo.  All’età di  quattordici anni, nel 1946 , fu costretta alla degenza a letto, un’immobilità durata tutta la sua vita. A nulla valsero le cure presso gli ospedali “Marino” a Cagliari, a Ierzu, al “Forlanini” a Roma ed a Nuoro. Ha vissuto tutta la sua vita in una cameretta senza sole che chiamava la sua “grotta”.

Tuttavia, ad un’esistenza scarna di vicende ha corrisposto una fecondità inattesa a livello spirituale perché ha amato il Signore, ha accettato ed offerto la sua croce e realizzato un apostolato di gioia e di speranza verso quanti la andavano a trovare o la contattavano. Don Salvatorangelo Nieddu, il suo parroco, testimonia che Giuseppina è diventata ancilla “esternamente con l’emissione dei voti, ma interiormente lo era stata da sempre, per cui non aveva difficoltà, pur sofferente, ad accogliervi (consorelle ancille) con gioia per qualche ritiro, a pregare insieme con voi, quando la sua cameretta poteva diventare altare per il Sacrificio della Messa. Il vostro ideale era il suo ideale, da sempre, … (I Sacerdoti) li amava tutti. Per uno aveva consacrato la vita, votato i suoi dolori, le sue preghiere, il respiro di ogni giorno.

Mi sembra di poter vedere tutta la sua devozione, con voi, al Sacerdote, nei sentimenti espressi nel settembre scorso (1992), nei confronti del papa che aveva parlato a Castel Gandolfo dopo la degenza al “Gemelli”: “Ho avuto l’impressione che fosse triste – mi ha detto – forse, pur in mezzo al mondo che lo applaude, non ha nessuno vicino che lo ami come una sorella. Se fossi stata vicino, l’avrei abbracciato per ridargli il sorriso”. Queste le sue riflessioni più significative:  “L’amore che noi dobbiamo avere verso il Signore non si fa con atti notarili. Il mio amore vale molto di più che se fosse fatto con tali atti. L’altra notte piangevo molto e nello stesso tempo gustavo i gravissimi dolori che avevo: li gustavo non nel senso che il dolore mi piaccia, ma perché sentivo che il Signore aveva accettato e accetta sempre le mie offerte.

Sento di essere invitata da Gesù ad una grande celebrazione in cui ci sarà solo l’amore. Se tutti mi trattassero bene e stessi bene sempre, che senso avrebbe la mia offerta?”; “ In paradiso non si va passeggiando per la strada…: si va con la sofferenza, accettando con maturità i dolori che la volontà di Dio vuole che noi incontriamo nella vita, che è dura. Lascia da parte le tue sofferenze, per accogliere quelle degli altri!…Soprattutto questa è la strada che porta al paradiso. Quante anime ci sono che vogliono essere aiutate!”. (cfr “Ancilla Domini”, genn. 1993 n. 1, pp 5-9)