Qual è dunque lo stato di salute della nostra democrazia?
I dati dell’astensione alle ultime elezioni europee e amministrative testimoniano la crisi. Ma vogliamo reagire a questo stato di cose con la terapia del dialogo, del confronto e delle nuove prospettive. Nella società civile i cattolici ci sono. Hanno bisogno però di sapersi esprimere anche nelle istituzioni e di incoraggiare altri a farlo.
L’astensionismo come sintomo delle crisi ha delle cause?
La crisi è culturale, e questo vuole dire che abbraccia sia la politica, sia altri ambiti, prima di tutti il modo di porsi di fronte all’altro. Statistiche molto accreditate rilevano come rispetto a dieci anni fa sia diminuito non solo il numero di chi vota, ma anche quello dei volontari. Certamente la legge elettorale, le modalità con cui vengono scelti i candidati, la distanza di essi (soprattutto per quanto riguarda il parlamento di Strasburgo) dal resto della società civile sono concause. Ma la crisi è trasversale. Tuttavia non possiamo rassegnarci, dato che il Vangelo ci rimanda a un impegno nella storia e la Dottrina sociale della Chiesa (Dsc) ci spinge a essere presenti con responsabilità per costruire il bene comune.
Giovanni Paolo II avvertiva che una democrazia senza valori può risolversi nel suo contrario. Siamo arrivati a questa fase?
Credo che la visione antropologica, dalla quale discende la visione della comunità e dello Stato, non sia indifferente ai mezzi e alle forme che aiutano a realizzare la democrazia. Quando la finalità è quella di costituire una città dell’uomo, un Paese, un’Europa in cui non c’è al centro la persona umana con i suoi diritti, priviamo la nostra società e le nostre istituzioni dell’essenziale. Non dimentichiamo che il concetto di dignità della persona, di ogni persona, anche di chi viene da fuori, è il frutto della convergenza del pensiero cristiano, con la filosofia greca e con il diritto romano. L’Europa nasce da queste diverse anime. Papa Francesco parla di attaccamento al bene. Senza questo, avremmo uno Stato che si concentra sui privilegi di pochi e ahimè di alcune oligarchie.
C’è un pericolo fascismo attualmente in Italia?
Io credo che il pericolo sia bipartisan. Se da una parte vediamo il saluto romano, dall’altra abbiamo richieste molto radicali che vanno nella direzione, ad esempio, di inserire nella legislazione europea il diritto all’aborto e questa è una deriva radical chic di sinistra. Non fare i conti con il proprio passato, per gli italiani di destra e di sinistra, significherebbe ripetere gli stessi errori della polarizzazione che non portano a niente.
Che cosa è dunque lecito aspettarsi da questa Settimana?
Anzitutto il dialogo che tante volte non si riesce ad avere, perché mancano i luoghi di confronto. Le tematiche che affronteremo nelle piazze della democrazia che ci saranno a Trieste, permetteranno ai cattolici, anche con orientamenti diversi, di confrontarsi. Il primo successo sarebbe questo ed è da auspicare che avvenga. Perché i delegati esprimono la vita delle nostre comunità ecclesiali.
A questo proposito, dato che dalla fine dell’unità politica, i cattolici sembrano aver perso peso specifico e rilevanza, è auspicabile il ritorno a una forma di rappresentanza unitaria?
L’impegno a costituire forze politiche centriste non è negli obiettivi della Settimana sociale. Ciò non toglie che i cattolici possano guardare a dei progetti condivisi. Soprattutto, però, la convergenza deve essere sui valori, come sempre viene rimarcato dai Vescovi. A titolo personale posso aggiungere che non sempre i cattolici sono stati presenza critica all’interno dei partiti e hanno lasciato che alcune posizioni si estremizzassero. Io non credo che si riesca a costituire oggi una nuova Dc. Quello che auspico è che dovunque i cattolici si trovino siano una presenza pensante, critica rispetto alle ideologie e convergente su alcuni aspetti fondamentali: ad esempio diritto alla vita, diritto dei lavoratori e accoglienza nella legalità dei migranti.
Qualcuno ha accusato questa Settimana sociale di guardare troppo a sinistra. Qualcun altro di scarsa sensibilità verso la Dsc. Come risponde?
Mi meravigliano molto queste osservazioni. Basta leggere il documento preparatorio e vedere che fa riferimento alla Fratelli tutti. Così come la settimana sociale di Taranto faceva riferimento alla Laudato si’. Mi sembra che si voglia ingabbiare la Settimana sociale in schemi ideologici, mentre l’atteggiamento dei delegati e della stessa Chiesa non è quella di dover difendere una ideologia, ma una profezia, quella appunto della Dsc. Nella Fratelli tutti, papa Francesco ha avuto parole molto chiare sul populismo, sulla deriva alla quale ci può portare l’uomo solo al governo e sulla mancanza di dialogo sociale. Dobbiamo costruire non un mondo di soci, ma di fratelli. E perciò il Papa ci presenta l’icona del buon Samaritano, il metodo del dialogo sociale, e guarda anche a coloro che dal basso costruiscono la realtà di un popolo, quelli che egli chiama i poeti sociali. Come ha detto anche Benedetto XVI nella Caritas in Veritate, la divisione non appartiene alla vocazione cristiana.
Al centro del dibattito politico, oggi ci sono riforme come il premierato e l’autonomia differenziata. Che spazio avranno a Trieste?
Questi temi non sono all’ordine del giorno. Se ne sta parlando in Parlamento ed è giusto che il confronto avvenga là. Ma ciò non significa che i cattolici non possano dibattere su queste tematiche. Hanno già cominciato a farlo e credo che continueranno legittimamente, ma non in questi giorni di Trieste. Da parte mia posso dire che in discussione non è la legittimità di fare le riforme, ma come ha detto anche il cardinale presidente della Cei, Matteo Zuppi, la necessità di farle con larghe intese. Con delle maggioranze che non raggiungono grandi livelli e che non dicono una condivisione totale, il timore è che si esasperino le posizioni.