Il volume di Luciano Regolo e don Luigi Epicoco sulle figure di tre mistici del Novecento: san Pio da Pietrelcina, madre Speranza e Natuzza Evolo: «L’umiltà», ha detto Regolo, «è l’atteggiamento che distingue i mistici autentici da quelli che dichiarano di vivere esperienze carismatiche senza un reale fondamento. È proprio l’umiltà a rendere evidente il profondo legame d’amore fra il credente e Dio»
Si è svolta la sera del 9 luglio, nel chiostro del Palazzo Municipale di San Giovanni Rotondo, gremito di gente come raramente era accaduto in passato, la presentazione del libro Dove terra e Cielo si incontrano, incentrato sulle figure di tre mistici del Novecento: san Pio da Pietrelcina, la beata madre Speranza e la serva di Dio Natuzza Evolo. Dopo i saluti introduttivi del sindaco della città, Filippo Barbano, sono intervenuti i due autori: il sacerdote Luigi Maria Epicoco, docente di Filosofia alla Pontificia Università Lateranense di Roma, e Luciano Regolo, condirettore di Famiglia Cristiana e Maria con te.
Spiegando il titolo, don Luigi ha evidenziato che «l’essere umano è davvero il luogo dove la terra e il cielo si incontrano» quando si vive la religiosità con fede autentica e non con atteggiamento rituale. Tutti, infatti, mediante il Battesimo – ha spiegato – siamo chiamati a una unione profonda con Dio; le differenze dipendono unicamente dalle risposte che ciascuno dà. È toccato a Regolo, invece, evidenziare come l’umiltà sia l’atteggiamento che distingue i mistici autentici da quelli che dichiarano di vivere esperienze carismatiche senza un reale fondamento.
È proprio l’umiltà, infatti, secondo il giornalista, a rendere evidente il profondo legame d’amore fra il credente e Dio, che costituisce l’essenza dell’esperienza mistica.
«La spettacolarizzazione mediatica dei fenomeni mistici – si legge a tal proposito nel volume – spesso ne distorce il senso più autentico e profondo, quale conseguenza dell’unione con Cristo, tanto da rendersi nuovi suoi cirenei per la salvezza delle anime, rinnovando con Lui e per Lui il Sacrificio d’amore senza fine per il quale si è fatto carne» (p. 23). «Presi da un fervore amoroso così inarrestabile per il Signore, Via, Verità e Vita, i mistici non si inorgogliscono per questa vicinanza, al contrario si sentono sempre più inadeguati» (p. 25).
Il sacerdote ha, quindi, esposto il motivo per cui il demonio prende di mira i mistici con assalti, tentazioni e persino percosse, come è capitato a Padre Pio, Madre Speranza e Natuzza: «L’obiettivo del principe delle tenebre è rompere il legame d’amore fra l’uomo e Dio, far credere all’uomo che non è amato, per indurlo alla disperazione. E, quando ci sono persone che resistono e che, anzi, sono una testimonianza vivente di questo amore, cercano in tutti i modi di osteggiarle». Regolo, ha, infine sottolineato la ragione per cui «i tre mistici del XX secolo, col loro esempio, ci lasciano una preziosa eredità».
Essi ci insegnano a seguire Cristo sulla via dell’obbedienza, che si traduce in abbandono alla volontà del Padre che è nei Cieli, anche quando questa costa sacrifici e sofferenza. «Chi ama Cristo in maniera totale, come i mistici – si legge nel libro – si ritrova costantemente a fronteggiare l’opera del male che ha come scopo ultimo far rinnegare la logica della Croce. In questo senso né Padre Pio, né Madre Speranza, né Natuzza avevano predilezione per la sofferenza, ma sapevano bene che molte volte l’amore è legato a doppio filo con la sofferenza. Se per amare bisogna soffrire qualcosa allora ecco perché essi non indietreggiano davanti all’esperienza della sofferenza» (p. 30).
Le conclusioni sono state affidate all’arcivescovo di Manfredonia – Vieste – San Giovanni Rotondo, padre Franco Moscone, che ha esordito constatando l’insolita situazione di una completa mancanza di domande, pur sollecitate, da parte dei numerosi presenti, per poi ipotizzare che tanti interrogativi, evidentemente, saranno maturati nel cuore di ciascuno a confronto con l’esperienza di questi mistici, ai quali «va tolta l’aureola, per renderli alla portata di ciascun credente, come modelli che è possibile imitare».