In occasione dell’elevazione a santuario della chiesa di Paravati, costruita su impulso della serva di Dio, pubblichiamo la riflessione di don Luigi Maria Epicoco
Qual è l’eredità che questa donna straordinaria ha lasciato nelle migliaia di persone che l’hanno incontrata o che comunque hanno avuto modo di conoscerla lungo gli anni della sua esistenza e anche dopo la sua morte, con un crescente interessamento alla sua vita, alla fama di santità, che ne ha caratterizzato e che continua a caratterizzarne il processo di beatificazione attualmente in corso?
Certamente questa donna è stata una rappresentazione vivente dell’amore di Dio.
Nella sua maternità in qualche maniera noi abbiamo riconosciuto la maternità di Dio, quella maternità indicata da papa Giovanni Paolo I, oggi beato, come una delle caratteristiche del Signore. E chi altri se non Maria, con il suo Cuore immacolato, rappresenta in massimo grado l’esperienza di questa maternità?
Proprio per questo Natuzza ha sempre pensato a Maria come a una casa e al cuore di questa donna come il rifugio migliore, dove trovare quello spazio per rimettersi al mondo, per ricrearsi, per riprendere le forze necessarie al proprio cammino.
La devozione al Cuore Immacolato di Maria non è semplicemente una devozione tra le altre. Collegandosi a quelle che sono state le esperienze delle rivelazioni di Fatima ai pastorelli Giacinta, Francesco e Lucia, Natuzza si inserisce in questo filone e lo approfondisce attraverso la sua testimonianza, la sua spiritualità, la sua esperienza mistica.
È bello che a cento anni dalla sua nascita quella chiesa, edificata grazie alla generosità dei fedeli, in un luogo non certo favorevole secondo i criteri dell’edilizia, quel tempio che la Evolo ha fortemente voluto come un luogo simbolico, in grado di rappresentare in maniera molto concreta questo amore accogliente di Maria, questa maternità che la stessa Natuzza ha testimoniato per tutta la sua vita, diventi santuario diocesano.
Questo titolo non è semplicemente onorifico, ma è un riconoscimento a un luogo che rappresenta la meta di tanti pellegrinaggi, che rappresenta il punto focale di molte persone che vivono dentro l’itinerario spirituale indicato da “Mamma Natuzza”, come la chiamavano e la chiamano i suoi numerosi figli spirituali.
Si tratta di rendere sempre più attuale quel messaggio che l’evangelista Giovanni più volte sottolinea, nel racconto del Vangelo e nelle sue lettere, e cioè che Dio è amore. E l’amore è un’esperienza, non è una spiegazione, non è una teologia da apprendere in un libro, ma è un’esperienza che si fa all’interno della propria vita.
Un’esperienza che nasce dall’ascolto, esattamente come Natuzza ha fatto per tutta la sua esistenza. Ha amato perché ha ascoltato i drammi di moltissime persone che andavano a bussare alla sua porta, in cerca di conforto.
L’amore è passione per l’altro, è, cioè, capacità di saper patire insieme con l’altro, gioire e soffrire nella vita delle persone che ci sono accanto. Natuzza ha gioito e sofferto soprattutto a causa di tante storie drammatiche che lei stessa ha incrociato nella sua vita. Storie di piccoli, di grandi, soprattutto di giovani che amava moltissimo.
E per questo si spendeva molto nella preghiera e nell’offerta di sé. L’offerta anche delle piaghe e delle acute sofferenze mistiche a immagine e somiglianza della Passione di Gesù, segno del suo totale amore/immedesimazione per il Cristo.
Forse, senza esagerare, potremmo dire che in tutta la sua vita Natuzza è stata lei stessa un santuario, un santuario dove tutti hanno potuto fare esperienza dell’amore di Dio attraverso quella maternità che aveva il profumo di Maria, che era lo specchio di quel Cuore Immacolato rifugio delle anime, che è il titolo con cui Maria si presenta a lei, le chiede e le racconta nei dettagli anche la nascita di quella chiesa che oggi diventa santuario. È stato detto di Natuzza con un’espressione efficacissima: era una carezza di Dio!
Le cose più importanti della nostra vita abbiamo bisogno sempre di simbolizzarle in qualche modo, cioè di rappresentarle attraverso degli alfabeti che possano essere comprensibili per ciascuno di noi. Così, poter dire a qualcuno “ti amo” diventa abbraccio, poter pregare diventa il gesto di inginocchiarsi, poter essere perdonati diventa il pianto di chi riceve il perdono.
Questi modi attraverso cui noi raccontiamo esperienze molto più profonde dentro di noi ci dicono l’intima necessità di disporre costantemente di linguaggi e modi per poter dire l’indicibile.
«Dio nessuno l’ha mai visto», scrive san Giovanni, «ma se noi ci amiamo l’amore suo è perfetto in noi». Tradotto, tutto questo significa fondamentalmente che quel Dio che nessuno vede diventa visibile lì dove ci sono delle persone che si amano sinceramente.
Natuzza ha passato tutta la sua vita amando, e se ha sofferto, ha sofferto per amore. La sua sofferenza non è una punizione da parte di Dio, ma un’esigenza del suo stesso amore. È bello allora, a cento anni dalla nascita di questa straordinaria donna, poter manifestare tutta la nostra gratitudine per il dono della sua vita, della sua testimonianza, del modo con cui ella ha manifestato quest’amore e di cui rimane una traccia evidente in quei luoghi che ora sono luoghi benedetti da Dio e che la Chiesa riconosce attraverso l’elevazione a santuario di quella chiesa tanto voluta da Natuzza e che se verrà proclamata beata accoglierà anche le sue spoglie mortali, ora custodite in una cappella dell’Auditorium, nel complesso sorto attorno al tempio.
La grande differenza, però, che caratterizza la memoria dei santi non è quella di rivolgerci al passato semplicemente con un gesto di gratitudine, ma è continuare a riconoscere che la vita di questa donna continua a produrre vita, continua a essere causa di vita, di conversione, nelle vite di tanti fedeli che a lei continuano a rivolgersi e che col passare del tempo diventano sempre più numerosi.
Certamente Natuzza non avrebbe voluto nessun riflettore acceso su di lei, non avrebbe voluto nessuna notorietà. Ma piace a Dio prendere gli umili e metterli al primo posto, rendendoli specchio di quella luce che soltanto coloro che si lasciano amare da Dio riescono a riflettere fino in fondo.