Nella società narcisista e autoreferenziale che abbiamo costruito, l’umiltà è sicuramente fuori moda. Proviamo a pensarci: di cosa parliamo quando siamo con gli altri se non di noi stessi? Sembra che soltanto promuovendoci, anche a costo di esagerare, si possa aspirare ad avere un ruolo importante nei posti che contano. Però la vita dello spirito ha regole profondamente diverse, insegna che per essere grandi bisogna farsi piccoli. In questo senso l’umiltà, quella vera, non solo rivendicata a parole, gioca un ruolo fondamentale, perché rappresenta una forma di distacco, di “liberazione” da noi stessi. Così da aprire le porte all’azione dell’Eterno. Lo sottolinea con chiarezza e profondità Simone Weil (1909-1943). Ma in questi suoi brevi appunti spirituali che pubblichiamo oggi, la nota filosofa e mistica francese va anche oltre, soffermandosi su un’altra virtù da sempre fuori moda, cioè la pazienza, vestito nobile dell’attesa. Pazienza e umiltà insieme, sottolinea Weil, rafforzano la preghiera, e rendono il cuore pronto ad accogliere l’amore di Dio.
Ogni settimana uno spazio dedicato alla riflessione personale con l’aiuto di maestri spirituali e grandi testimoni della fede. Oggi Simone Weil sulla pazienza capace di «stancare» Dio
«Il bambino di qualche mese che vuole un oggetto luccicante può gridare per farselo dare. Può anche tendere la mano, lasciarla ricadere per la stanchezza, tenderla ancora, per ore. Sua madre finirà col notarlo e non potrà sopportarlo: gli darà l’oggetto. Una formica si arrampica su un piano verticale e liscio, fa qualche centimetro, e cade, si arrampica ancora, e cade, si arrampica ancora, e cade. Un bambino che l’osservi si divertirà dinanzi a questo spettacolo per dieci minuti, poi non potrà più sopportarlo; mette la formica su un filo di paglia e la solleva al di sopra del piano verticale. Così, stancando Dio con la nostra pazienza, lo costringiamo a trasformare il tempo in eternità. Una pazienza capace di stancare Dio procede da un’umiltà infinita. L’umiltà ci dà un potere su di Lui. Solo il nulla perfettamente vuoto può coniugarsi con l’essere perfettamente compatto. Solo mediante l’umiltà possiamo essere perfetti come il Padre nostro. Per questo occorre un cuore completamente stritolato. Una preghiera fatta di gesti, come quella della formica che sale e ricade, è ancora più umile di una preghiera espressa con parole o grida anche interiori o con un desiderio tacitamente diretto. Significa sapere che non si può nulla, e tuttavia esaurirsi in sforzi riconosciuti come inutili, nell’attesa umile del giorno in cui forse sarà notato dalla Potenza che non si osa implorare. Non c’è atteggiamento di maggiore umiltà dell’attesa muta e paziente».