Un segno di speranza per ricucire le relazioni tra i popoli. «Anche in mezzo a questa guerra», dice il patrarchia di Gerusalemme, «bisogna trovare parole di perdono e fratellanza. La nostra sorgente, per farlo, è la Parola di Dio»

Non si illude il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme, «Anche se c’è il cessate il fuoco in Libano, questo non significa che ci sarà pace. La pace è un’altra cosa. A Gaza le cose continueranno e Dio solo sa come continueranno. Le prospettive di pace intese come relazioni serene trai popoli non le vedremo presto, ma bisogna prepararle. Verrà il momento in cui bisognerà ricostruire, non solo le strutture fisiche, ma le relazioni e avremo bisogno di parole, di un linguaggio che aiuta a ricucire, a restaurare, a riconciliare ciò che questa guerra ha diviso e lacerato tra le persone, tra le famiglie». Per questo tra tante parole da cui siamo sommersi, è importante ritrovare la Parola con la P maiuscola. «Quello che per noi» dice ancora il cardinale, «è il punto di partenza e di fine, il luogo dove ci possiamo ritrovare. 
Questa nuova versione della Parola di Dio in arabo è molto importante perché, soprattutto nel nostro conteso diviso e lacerato, dove ci sono tante parole di disprezzo, odio, rifiuto, sfiducia, dove l’altro non è il prossimo da amare e perdonare, ma una minaccia da eliminare— quando tutto questo è cosi profondo radicato nelle nostre anime e culture locali -, avere questa capacità di arrivare alla Parola di Dio senza troppe mediazioni, nella propria lingua, apre prospettive e vie sempre nuove e sempre diverse. Certo, non toglie nulla al dolore e alla sofferenza, ma non lascia spazio all’odio, al rancore, al disprezzo perché è Parola viva, che è come una sorgente dalla quale si possono tirare fuori tesori nuovi e antichi, quelle parole di perdono di cui abbiamo estremo bisogno». A Roma, per la presentazione della edizione in arabo della Bibbia “Scrutate la parola”, arrivano in tanti. Nel giorno in cui si ricorda la memoria del beato Giacomo Alberione, fondatore della famiglia paolina, la società San Paolo lancia una iniziativa che arriva «come un segno per il Medio Oriente oggi così tormentato. Quando abbiamo cominciato a lavorare non sapevamo quello che sarebbe successo, ma oggi il fatto di essere arrivati a concludere il lavoro in un momento così travagliato credo sia importante per tutti.
I cristiani hanno bisogno di attingere alla Parola, alla sorgente e farlo nella propria lingua, con un apparato di note così importante aiuta la comprensione», spiega don Francesco Voltaggio, il biblista che, da Gerusalemme, ha lavorato in stretto contatto con padre Jean Azzam, biblista di Beirut. «Siamo stati divisi da un muro, negli ultimi tempi entrambi sotto la guerra, ma abbiamo continuato a lavorare» dicono entrambi. Sono convinti che «anche se l’iniziativa non è legata agli eventi attuali possa aiutare i cristiani arabi, in Terra Santa e nel mondo. Ci auguriamo», spiegano, «che la conoscenza soprattutto del Vecchio Testamento aiuti a essere testimonianza per gli altri. Quanto più grandi sono le tenebre, tanto più risplende la luce e si potrà essere operatori di pace. Il mondo presenta sempre di più cause, occasioni, di odio, di guerra, invece quando ritroveranno la causa giusta, potranno portare questo messaggio di pace».

«I tempi non saranno brevi», aggiunge il patriarca di Gerusalemme, «ma dobbiamo pensare che le persone che si combattono oggi sono le stesse che dovranno convivere domani. La missione principale che vedo per noi in Terra Aanta è dire agli altri, ai nostri fratelli musulmani e ebrei parole di riconciliazione, di vita, di pace, parole che ricostruiscono. In questo anno terribile di guerra ebrei e musulmani non si parlano più, ma sottobanco ci dicono se ci siete anche voi cristiani possiamo incontrarci, allora lì noi cristiani siamo chiamati a dire una parola di speranza, di prospettiva, questo non si può fare parlando di noi stessi ma di Lui, di quella Parola che è il fondamento della nostra speranza , sono certo che questa opera aiuterà ad aprire il cuore e la mente di tante persone che conoscendo di più la Parola di Do conosceranno di più loro stesse e potranno dire una parola solida per i fratelli e sorelle che incontreranno».

Alla presentazione erano presenti cinquanta persone di lingua araba arrivati dalla Terra  Santa. A loro il superiore generale don Domenico Soliman ha consegnato 50 copie dell’edizione da portare con sé nel ritorno a casa. Un dono prezioso perché, come ha ricordato monsignor Michel Aoun, vescovo di Byblos (presente all’evento con monsignor Michel Jalakh, del dicastero delle Chiese orientali e con il vicario copto cattolico del Cairo, monsignor Hani Bakhou, Kiroulos), «è un segno di pace e speranza che può essere seminato nel cuore degli uomini e delle donne che vivono nella guerra. Nel mezzo di un conflitto che sta devastando il Libano e il Medio Oriente e davanti a una grande paura che incombe sui cuori, ritrovarci a Roma per la Bibbia in lingua araba ci ricorda che  la guerra distrugge e uccide, non genera che la morte e l’odio e lascia una grande disperazione insieme con il desiderio di vendetta. 

Ma davanti alla desolazione della guerra sorge la Parola di Dio come unica risposta che apre una via in mezzo alla morte. I nostri popoli del Medio Oriente hanno bisogno di questa risposta della Parola di Dio e dell’annuncio che Cristo ha vinto la morte e ha distrutto il muro di inimicizia e separazione tra i popoli. Egli è la nostra pace ed è venuto ad annunciare la pace. Perciò la celebrazione di oggi è una luce che potrebbe illuminare le tenebre del nostro mondo immerso nell’odio. Il libro Scrutate le scritture in arabo è un dono prezioso per i nostri Paesi in medio oriente soprattutto in questo momento di buio per i nostri popoli».