La meditazione di venerdì mattina

Si sono conclusi stamane, venerdì 14 marzo, nell’Aula Paolo vi, gli Esercizi spirituali della Curia romana in comunione spirituale con Papa Francesco ricoverato al Policlinico Gemelli. Guidati dal cappuccino Roberto Pasolini, hanno avuto come tema generale “La speranza della vita eterna”. Introducendo la decima e ultima meditazione incentrata sul tema “Lasciarsi trasformare” — di cui pubblichiamo una sintesi qui di seguito — il predicatore della Casa pontificia ha rivolto parola di «ringraziamento al più che giustificato assente di questi giorni di Esercizi che è il Santo Padre, a cui rivolgiamo alla fine anche il nostro saluto. Gli vorrei dire che se c’era un modo per togliermi definitivamente la paura di venire in questa Aula a fare il Predicatore apostolico, l’obiettivo è stato raggiunto: dopo questi giorni, mi sento quasi più familiare qui che non in convento. Per cui, missione compiuta!». Dopodiché ha ringraziato, tutti i partecipanti «agli Esercizi, Ma anche tutti coloro che erano» presenti «per fare un servizio: i tecnici audio-video, le guardie, i sediari, i fotografi, i cantori. Il modo in cui avete partecipato a questi giorni, ogni sguardo, ogni parola, ogni attenzione che mi avete rivolto mi hanno sostenuto nel vivere con questa esperienza e quindi vi ringrazio di cuore. Perché, anche quando c’è al centro qualcuno, le cose si fanno sempre insieme. E questa è la bellezza della Chiesa, la vita nella comunione». Da qui l’esortazione a pregare «gli uni per gli altri, perché le parole che abbiamo ascoltato in questi giorni possano rimanere nei nostri cuori e accompagnarci verso la vita eterna».

La vita, con la sua bellezza e le sue difficoltà, ci pone davanti una domanda cruciale: che senso ha il nostro peregrinare in questo mondo quando tutto è destinato a finire? Senza la speranza nell’eternità, il peso della realtà può schiacciarci o renderci cinici, spingendoci verso la rassegnazione. San Paolo propone di fissare lo sguardo sulle cose invisibili, che sono eterne.

L’umanità è segnata dal declino fisico, ma c’è un rinnovamento interiore che avviene giorno dopo giorno. Tutto ciò che sembra dissolversi ha in realtà un destino più grande: Dio ci ha creati per la risurrezione, e questo non è un sogno utopico, ma la logica naturale di un’esistenza chiamata alla pienezza.

Nel mistero della croce e della risurrezione di Cristo, Dio ha portato a compimento il suo disegno di amore. L’apparente sconfitta del Crocifisso è in realtà la rivelazione di un Padre che non rinuncia ai suoi figli. Questo significa che la nostra vita non è lasciata al caso, ma è parte di un progetto di adozione e redenzione che ci rende figli amati e destinati all’eternità. Tutto ciò che viviamo — gioie, dolori, conquiste e fallimenti — è parte di una trasformazione continua, simile a quella di un seme che, morendo, genera nuova vita. Così anche noi, pur attraversando il limite della morte, siamo destinati a una vita nuova e gloriosa.

Questa trasformazione non è solo futura, ma inizia già ora. Nell’Eucaristia, infatti, avviene uno scambio misterioso: offriamo a Dio la nostra vita e riceviamo in cambio Cristo stesso, che ci trasforma nel suo amore. In ogni Messa che celebriamo tutto ciò che siamo viene assunto nella vita di Cristo, che lo porta con sé davanti al Padre. Non è un rito simbolico, ma un processo reale di trasformazione della nostra persona, che ci rende partecipi della vita eterna già nel presente.

Non sappiamo esattamente come andranno alla fine le cose, ma sappiamo che ciò che saremo è già in germe dentro di noi. Non siamo destinati al nulla, ma a un futuro ricco di speranza. Questa certezza cambia tutto: la nostra vita non è un film senza senso, ma un’opera scritta e diretta da un Regista straordinario, che ci invita a fissare lo sguardo sull’eternità e a camminare verso di Lui con fiducia. È un fatto reale: Dio ha generato dei figli, e tra questi figli ci siamo anche noi. Il futuro resta davanti a noi come un disegno d’amore solo parzialmente svelato. Tuttavia, ciò che oggi vediamo è già meraviglioso: siamo figli amati, cittadini del cielo, viventi per Dio e per sempre.

Il paradosso di un Dio che salva attraverso la croce

La meditazione di mercoledì pomeriggio

Di seguito pubblichiamo una sintesi della settima meditazione, proposta dal predicatore Pasolini nel pomeriggio di mercoledì 12 marzo, intitolata “Eterni, non immortali”.

La nostra epoca ha generato un’illusione di immortalità, alimentata dal progresso e dal benessere, che ci porta a ignorare i limiti della condizione umana. Anche la Chiesa, talvolta, fatica a ridimensionarsi per offrire una testimonianza credibile del Regno di Dio. Questa rimozione della morte si manifesta nell’incapacità di vivere serenamente l’attesa e nell’ossessione per l’iperattività e la presenza costante sui tanti fronti in cui la realtà ci sollecita. La paura della morte ha reso difficile affrontare scelte definitive, favorendo il disimpegno e l’illusione di poter sempre revocare le decisioni prese.

La società contemporanea ha cancellato i rituali e le parole che un tempo aiutavano ad affrontare il passaggio della morte con senso e coraggio. Oggi, il morire è spesso ridotto a spettacolo mediatico o a problema tecnico della scienza medica. Questo allontanamento dal concetto di morte impedisce di comprendere il senso più profondo della vita e della speranza cristiana. San Francesco d’Assisi, chiamandola “sorella morte”, offre un’alternativa radicale: accettare la finitudine umana come parte di un percorso che conduce all’eternità.

Il peccato, inteso come uso fallimentare della libertà, nasce spesso dal tentativo di sfuggire alla precarietà della vita. Tuttavia, l’unico vero antidoto è l’amore, vissuto in maniera concreta e profonda, come testimoniano le parole di san Giovanni: «Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli» (1 Gv 3, 14). Amare fino alla fine significa accettare il limite e trasformarlo in un’opportunità per donarsi senza riserve.

Cristo non ha eliminato la morte, ma l’ha attraversata per mostrarci che può essere abitata e trasfigurata. L’incarnazione non è solo una risposta al peccato, ma un gesto d’amore radicale con cui Dio si è coinvolto nella nostra esistenza. Il Vangelo di Marco sottolinea il paradosso di un Dio che salva attraverso la croce, rivelandoci che, pur essendo eterni, non siamo immortali. 

Paolo avverte i Galati sul rischio di tornare a una fede fondata sulla paura e sulla legge, anziché sulla fiducia nel dono gratuito di Dio. Giovanni esorta a discernere gli spiriti, riconoscendo l’incarnazione non come un’idea, ma come un modo concreto di vivere la realtà. L’incarnazione ci chiede di rimanere saldi nella fiducia che la realtà, nonostante le sue difficoltà, è il luogo del regno di Dio. Vivere come figli di Dio e fratelli tra noi è una scelta da rinnovare ogni giorno, nella certezza che l’amore fino alla fine non solo è possibile, ma è già stato testimoniato da tante generazioni di uomini e donne. Questo canto d’amore possiamo intonarlo anche noi, con la nostra vita.

Un bene da conquistare

La meditazione di giovedì mattina

“Vivere di più” è stato il tema dell’ottava meditazione proposta dal predicatore della Casa pontificia agli Esercizi spirituali  della Curia romana in comunione spirituale con Papa Francesco ricoverato al Policlinico Gemelli. Giovedì mattina, 13 marzo, padre Pasolini ha introdotto la riflessione — di cui pubblichiamo una sintesi —  rivolgendo un saluto «pieno di gratitudine al nostro Santo Padre, in questo giorno così speciale». È infatti «il dodicesimo anniversario della sua elezione — ha proseguito — e se dodici è un numero tondo, di pienezza, possiamo davvero ringraziare Dio perché il dono di Papa Francesco alla Chiesa e al mondo è compiuto. Sicuramente in questi dodici anni ha avuto modo di esprimersi in pienezza. Che il Signore lo custodisca e lo benedica sempre». 

Gesù propone l’eternità come un dono da accogliere, non come un bene da conquistare. L’episodio del giovane ricco nei Vangeli sinottici mostra il contrasto tra chi cerca la vita eterna come un premio e l’invito di Cristo a lasciar andare ogni sicurezza per seguirlo. Il giovane, incapace di distaccarsi dalle sue ricchezze, se ne va triste. Pietro allora chiede cosa riceveranno coloro che hanno lasciato tutto, e Gesù promette la vita eterna a chi si affida completamente a lui.

La difficoltà del distacco riguarda tutti: ci spaventa lasciare ciò che ci è caro, anche se la vita stessa ci costringe a farlo. Gesù invita ad anticipare questo passaggio, rendendo l’eternità una realtà già presente. L’esempio di Chiara Corbella Petrillo, che ha affrontato la malattia con fiducia, dimostra che si può vivere pienamente con Dio già su questa terra. Non si tratta di rinunce, ma di vivere intensamente, liberi da false sicurezze.

Nel Vangelo di Giovanni, Gesù si descrive come il pastore che conduce le sue pecore a pascoli abbondanti. La sua voce spinge a uscire dai recinti della paura per trovare la vera vita. Questa abbondanza si manifesta nel segno della moltiplicazione dei pani: ciò che sembra insufficiente, nelle mani di Gesù diventa sovrabbondante. Tuttavia, la folla fraintende il miracolo, cercando solo il pane materiale senza cogliere il segno di un nutrimento più profondo.

Gesù rivela che il vero pane di vita è lui stesso. Mangiare la sua carne e bere il suo sangue significa partecipare alla sua vita e accogliere la sua esistenza come nostra. L’Eucaristia non è solo un rito, ma un’unione trasformante con Cristo. Giovanni, invece di raccontarne l’istituzione, sottolinea la lavanda dei piedi, evidenziando che il vero culto si manifesta nel servizio reciproco.

L’eternità non è un’illusione lontana, ma una realtà che si attua nella nostra vita quando impariamo a offrire con fiducia anche il poco che abbiamo. Agli occhi di Dio, ogni nostro gesto d’amore ha un valore infinito: tutto può diventare eterno.

Il riposo vero è pace interiore, non si misura in risultati

La meditazione di giovedì pomeriggio

Nel pomeriggio di giovedì 13 marzo, nell’Aula Paolo vi, il predicatore della Casa pontificia ha offerto una meditazione sul tema “Il riposo eterno” ai partecipanti agli Esercizi spirituali della Curia romana, ai quali si è unito spiritualmente dall’ospedale in cui è ricoverato Papa Francesco che celebrava il dodicesimo anniversario dell’elezione al Pontificato. Pubblichiamo una sintesi delle parole di padre Pasolini.

La vita eterna è un dono già presente, ma spesso fatichiamo a comprenderne un aspetto fondamentale: il riposo. Fin da piccoli, siamo abituati a sentire la preghiera: «L’eterno riposo dona loro, o Signore e splenda ad essi la luce perpetua. Riposino in pace. Amen». L’idea di un’eternità basata sul riposo eterno può sembrare deludente, come se la vita finisse con un’infinita dormita. Ma questa percezione nasce da un equivoco profondo: vediamo il riposo solo come inattività, mentre nella visione biblica è una condizione di pienezza e appagamento.

Dio stesso ha vissuto il riposo, quando Gesù, dopo la croce, è stato deposto nel sepolcro. Questo momento non è un’inerzia sterile, ma il compimento di un’opera, come racconta un’antica omelia sul Sabato Santo: «Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi». Cristo riposa, eppure agisce misteriosamente, liberando i prigionieri degli inferi. Questo ci insegna che fermarsi non significa essere inutili, ma saper abbracciare il tempo con fiducia, senza inseguire un’attività frenetica e sterile.

Oggi il riposo è un lusso trascurato. Viviamo in una società che ci impone di essere sempre attivi, sempre connessi, sempre produttivi. Eppure, più aumentano le opportunità, meno riusciamo a riposare davvero. La parabola del servo, che dopo aver lavorato non si aspetta un premio ma accetta di aver fatto ciò che era chiamato a fare, ci insegna un segreto importante. Fino a quando viviamo con l’ossessione del risultato, non troveremo mai riposo. Solo chi accoglie con serenità il proprio limite può finalmente fermarsi in pace. 

Il vero riposo non è inattività, ma libertà. È lo stato in cui non dobbiamo più dimostrare nulla, perché ci lasciamo abbracciare dall’amore di Dio. È la pace interiore che ci permette di dire: «Chi è entrato nel riposo di Dio, riposa anch’egli dalle sue opere, come Dio dalle proprie» (Eb 4, 10). Vivere bene il riposo significa allenarsi alla vita eterna, imparando a vivere senza paura, a lasciar andare il superfluo e a fidarci del fatto che Dio è già all’opera in noi. 

Il riposo vero è pace interiore, non si misura in risultati, ma nella capacità di accogliere ciò che la vita ci dona. Non è fuga, ma un modo per imparare a vivere più intensamente, senza ansia. Non è passività, ma una fiducia attiva che ci rende liberi di amare. «Nell’amore non c’è timore. L’amore perfetto scaccia il timore» (1 Gv 4, 18). Alla fine, la vita eterna non è un traguardo lontano, ma una realtà che cresce già dentro di noi. Già ora, siamo chiamati a viverla.