
Un’agenda sobria, che rimanda alla sconfinata riflessione di Escrivá sulla figura, la missione, la responsabilità del sacerdote (sul sito istituzionale un’ampia proposta di contenuti) come “custode” e amministratore dei doni sacramentali, dalla celebrazione della Messa alla confessione. Ne è un segno tangibile il modo in cui san Josemaría celebrava la Messa (ed esortava a farlo), con raccoglimento assoluto e vera commozione, sempre come se fosse la prima e l’ultima volta, insegnando ad attualizzare ogni volta la redenzione (perché «il sacerdote – chiunque egli sia – è sempre un altro Cristo») attraverso il modo stesso in cui ci si accosta all’altare, si “vive” la liturgia, si offre l’Eucaristia, sapendo che è anche del modo in cui il Signore viene reso presente dai sacerdoti che si nutre la fede della gente: «Dobbiamo stare in Cielo e sulla terra, sempre – disse nel 1975 per il cinquantesimo di ordinazione, tre mesi prima di morire –. Non fra il Cielo e la terra, perché siamo del mondo. Nel mondo e in Paradiso allo stesso tempo (…), immersi in Dio ma sapendo che siamo del mondo e che siamo terra, con la fragilità della terra: un recipiente d’argilla che il Signore si è degnato di utilizzare al suo servizio».