Gesù non è un sogno, ma una presenza. Egli non mi è prossimo come un modello di vita morale da imitare nell’oggi, come pensava in maniera un po’ riduttiva Kant. Nemmeno è totalmente corretto dire che, per sentirlo vivo, dobbiamo sottovalutare il presente facendoci in tal modo suoi contemporanei, come scriveva Kierkegaard. Vale la pena vivere per il Signore – almeno per me – nel momento in cui scopro che egli è molto di più di un imperativo morale o di un ricordo. La nostra vita, per quanto breve, è troppo preziosa per comprometterla solamente con dei valori o con il passato. Ciò che la fa bella e degna di essere vissuta sono le relazioni. Ne consegue che con Cristo o si può instaurare una relazione reale o non se ne fa nulla. A questo i positivisti potrebbero rispondere che <<non se ne fa nulla!>>, perché un contatto reale sarebbe impossibile in quanto il Signore non è visibile. Ma la fisica quantistica ha smentito i positivisti facendoci sapere che il reale non si esaurisce in ciò che cade sotto l’indagine dei sensi!

Gesù Risorto si fa contemporaneo a noi adesso tramite lo Spirito. Egli rende presente l’Assente, reale l’Invisibile. Ma in che modo? Nella celeberrima serie tv Star Trek i personaggi potevano andare da un luogo all’altro dell’universo in maniera velocissima tramite il teletrasporto, una piattaforma dotata di un raggio che scomponeva le particelle dei loro corpi e le ricomponeva in un altro luogo. Lo Spirito, però, non è il teletrasporto del Risorto. Gesù non è un alieno che viene a visitarci.

Per gustare una buona cucina, però, non serve solo un bravo cuoco ma anche un palato fine. A nulla servirebbe l’opera dello Spirito se noi non fossimo allenati ad apprezzarla e a nutrircene. Riprendiamo la metafora del cibo. Se disgraziatamente fossi anoressico o bulimico, non potrei gustare nemmeno il piatto più sofisticato del migliore chef del mondo; se avessi il raffreddore, non sentirei i sapori. Così pure se provassi troppa fame ingurgiterei tutto in un solo boccone masticando poco e non distinguendo nulla di ciò che ho davanti. Fuor di metafora, per accorgersi della presenza del Signore bisogna trasformarsi, non basta avere qualcosa di buono davanti. Lo Spirito Santo deve cristificarmi, rendermi recettivo, disponibile, come le papille gustative che si attivano davanti a un buon piatto di fettuccine al tartufo. A questo si aggiunga che lo Spirito prepara piatti delicati che solo un animo non grossolano può apprezzare. Se non entriamo nell’ottica della presenza delicata e cortese di Cristo, o il nostro rapporto con lui si azzererà con il tempo, oppure – anche se ci crediamo teoricamente – nel migliore dei casi ci condanneremo da soli a una specie di voyeurismo spirituale: guardare ma non toccare. Bello quanto si vuole, ma irraggiungibile per me!

Per Paolo lo Spirito è la sostanza della vita cristiana non perché ci renda capaci di viverla quanto perché mette in noi l’esistenza stessa di Cristo. La concezione antica, che limitava l’azione dello Spirito alla profezia, è dunque abbondantemente superata. Tanto Gesù parla del regno di Dio nei Vangeli quanto l’Apostolo dello Spirito nelle sue lettere, fino a indurci a pensare che per lui il regno di Dio non sia altro che lo Spirito presente e operante in noi. Egli è una vera persona che pensa, desidera e ama: abita nei cuori (cfr. Gal 4,6); attesta la figliolanza divina del battezzato (cfr. Rm 8,16); prega gemendo in noi (cfr. Rm 8,26); si contrista quando viene offesa la carità fraterna (cfr. Ef 4,30); ci strappa dal dominio della carne per trasferirci sotto quello del Padre (cfr. Rm 8,9), e infine applica a noi la vita stessa di Gesù. Grazie allo Spirito noi siamo in Cristo: nelle sofferenze (cfr. Rm 8,17), nella morte (cfr. Gal 2,19), nella sepoltura (cfr. Rm 6,4), nella risurrezione (cfr. Ef 2,6), nel cammino di conformazione (cfr. Rm 8,29), nella condivisione del regno (cfr. 2Tm 2,12), nella gloria (cfr. Rm 8,17).