Manca ormai poco all’inizio del Sinodo sulla sinodalità, espressione che già di per sé non è di facile comprensione e sembra quasi un gioco di parole. Diverse persone, ascoltando notizie di vario genere, soprattutto se non hanno partecipato ai lavori preparatori che negli ultimi tempi hanno caratterizzato la vita delle parrocchie e di tante altre realtà, cominciano a fare domande e a chiedere chiarimenti.

Anche se letteralmente la parola “sinodo” vuol dire “fare strada insieme”, il termine fin dai primi secoli del cristianesimo ha indicato l’assemblea che si riunisce per discutere, condividere e prendere decisioni. Sinodalità indica quindi la creazione di spazi in cui sia possibile ascoltare chiunque abbia qualcosa da dire, al fine di discernere insieme quello che lo Spirito ci sta suggerendo.

Occorre quindi precisare che non si tratta di delegare la responsabilità: ogni percorso che deve portare a una decisione presuppone che si sappia in anticipo chi alla fine avrà la responsabilità di decidere. L’enfasi sulla sinodalità rischia di portare anche a deludere le persone, che forse credono che qualunque cosa verrà detta, sarà ritenuta certamente ragionevole e quindi da accettare.

Purtroppo non è così, perché se è vero che tutti vanno ascoltati, è anche vero che non si può rispondere a tutto ciò che viene proposto. Alcune delle cose che vengono suggerite, per esempio, possono rispondere a interessi e visioni personali, possono essere cose sbagliate, dettate magari dall’incompetenza.

Ma il vero grande nemico della sinodalità è il potere. Chi vuole comandare e tenere tutto sotto controllo non sarà così disposto ad ascoltare. Magari creerà spazi di sinodalità solo illusori per dare la parvenza di essere a posto con la coscienza.

Sappiamo bene che in diversi luoghi, anche della realtà ecclesiale, le decisioni vengono prese spesso di nascosto, in modo arbitrario e andando incontro agli interessi di quelli che contano di più. Si può parlare di sinodalità quindi solo quando si è autenticamente disposti a mettere in gioco il proprio potere.

Intraprendere un cammino sinodale richiede un atteggiamento di “indifferenza”, cioè disponibilità ad accogliere qualunque sarà l’esito del discernimento, ma soprattutto la sinodalità richiede un’intensa vita spirituale di cui non si intravvede traccia. Molte proposte sembrano invece dettate da sete di potere, magari velate da motivazioni socialmente accettabili.