È con una preghiera per la pace che sono iniziati stamani, sabato 14 ottobre, i lavori dell’ottava sessione dei Circoli minori. Il Sinodo si sta svolgendo in un tempo di guerre in diverse parti del mondo e la preghiera dell’assemblea ha abbracciato, nuovamente, come già nei giorni scorsi, tutti coloro che in queste ore sono colpiti dalle violenze. Nella consapevolezza che, come ha affermato stamani in Aula il cardinale Mario Grech, la tragedia della guerra è una questione che riguarda tutti.

A rendere noto il momento di preghiera per la pace è stata Sheila Peres, segretaria della Commissione per l’informazione, nel briefing con i giornalisti che ha avuto inizio, poco dopo le 14.15 di sabato 14 ottobre, nella Sala stampa della Santa Sede, ed è stato introdotto dal direttore Matteo Bruni.

Durante la congregazione generale di stamane — vi hanno preso parte in 340 — si è pregato nel ricordo del segretario di Caritas Siria e del fratello di un padre sinodale, dei quali si è appreso il decesso. Ed è stata anche comunicata la possibilità per i partecipanti di visitare i Musei vaticani.

Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la comunicazione e presidente della Commissione per l’informazione dell’Assemblea, ha fatto il punto dei lavori, giunti al termine della seconda settimana. Nel pomeriggio di venerdì 13 e, appunto, nella mattina di oggi si sono svolte la settima e ottava sessione dei Circoli minori, con le «conversazioni nello spirito», prendendo spunto dai vari punti dalla sezione b2 dell’Instrumentum laboris, dedicata al tema: «Corresponsabili nella missione. Come condividere doni e compiti a servizio del Vangelo?». I lavori riprenderanno lunedì 16 con la nona congregazione generale.

Ruffini ha poi spiegato che, per mantenere la riservatezza sui documenti dei 35 Circoli minori condivisi per favorire il discernimento, la Segreteria generale, dopo aver messo a disposizione un link facilitato, ha scelto di ripristinare la formula di credenziale «username» e «password» allo scopo di garantire trasparenza e confidenzialità.

Lo spagnolo Enrique Alarcón García, presidente di «Frater España – Fraternidad Cristiana de Personas con Discapacidad», anch’egli membro di nomina pontificia, ha preso poi la parola, esprimendo gratitudine al Papa per essere stato annoverato tra i partecipanti al Sinodo. «E’ stata una sorpresa che mi ha riempito di gioia il cuore» ha confidato, sottolineando che non si è trattato di una gesto formale o di una semplice manifestazione di tenerezza, ma di «un modo di rendere credibile il processo della sinodalità».

Dalle sue parole è emersa l’amarezza per la situazione in cui vivono oggi le persone con disabilità, sia nella società sia all’interno della stessa comunità ecclesiale: barriere architettoniche, marginalizzazione, scarsa partecipazione, esclusione a livello formativo e lavorativo segnano la loro condizione. E dunque il fatto di essere state coinvolte e consultate fin dall’inizio del percorso sinodale va considerata una «grande occasione» per tutta la Chiesa. Del resto, i disabili rappresentano «la più grande minoranza del mondo» e perciò la loro speranza è che nell’ambito spirituale e pastorale l’inclusione diventi una parola-chiave. Niente più paternalismo, assistenzialismo o, peggio ancora, commiserazione: «il Papa ha detto che siamo membri ed evangelizzatori a pieno titolo nella realtà ecclesiale e questo può essere la base di una grande rivoluzione» ha evidenziato, rimarcando che l’esperienza sinodale di questi giorni conferma che non ci sono differenze di posto o di autorità, perché «con la sinodalità la Chiesa vuole davvero andare avanti per essere comunità dove ciascuno ha un posto».

Da parte sua, suor Maria de los Dolores Palencia Gómez, religiosa messicana della Congregación de las Hermanas de San José, che partecipa ai lavori come presidente delegato e membro di nomina pontificia, ha anzitutto ringraziato per l’accoglienza ricevuta al Sinodo, sottolineando di indossare da più di cinquant’anni l’abito religioso, con un percorso che è partito dalle periferie e ha visto trascorrere quasi tutta la sua vita accanto a indigeni e migranti.

«Tuttora — ha detto — vivo in una struttura in cui accolgo quotidianamente migranti provenienti da America, Asia, Africa. Essere qui è un grande regalo per la mia vita: partecipare ai lavori del Sinodo significa compiere un percorso di apprendimento e di ascolto molto attento a ogni realtà, a ogni persona e cultura». Però, ha rimarcato, «non si tratta solo di ascoltare ma anche di far riecheggiare il soffio dello Spirito tramite il discernimento comune che si realizza nell’incontro. Il Sinodo è infatti un momento di comprensione dove cerchiamo di scoprire quello che lo Spirito ci suggerisce, con il desiderio di diffondere nel mondo il messaggio di speranza del Vangelo».

La religiosa ha anche parlato dell’emozione profonda provata nell’aver presieduto ieri l’ottava congregazione dell’assemblea, ritenendola una grande grazia. «Seduta assieme al Papa, con il segretario generale e il relatore del Sinodo, mi sono resa conto che questo è un modus vivendi che deve essere sempre attuato, è una corresponsabilità che ci unisce nel nome del battesimo comune per ascoltare la voce dello Spirito e camminare insieme ascoltando risposte differenti, come è scritto nella enciclica Ecclesiam suam di Paolo VI che desidera la Chiesa aperta sempre al dialogo: quello che noi stiamo vivendo e stiamo facendo nel Sinodo». Ed è proprio la Chiesa, ha aggiunto, «che ci vede pellegrini e pellegrine dello stesso percorso, ritenendo uomo e donna sullo stesso livello. Ciò dà una grande gioia ma anche una grande responsabilità».

Ha quindi preso la parola dom Mauro-Giuseppe Lepori, abate generale dell’ordine Cistercense, che partecipa ai lavori nell’ambito dell’Unione dei superiori generali. Il monaco ha parlato di «fase di cenacolo», dove l’importante non è «quello che dobbiamo capire o dire» ma la preparazione a «uno spazio di ascolto dello Spirito Santo, in cui Egli possa dire alla Chiesa ciò che vuole e quello di cui la Chiesa ha bisogno oggi».

Lepore ha messo in evidenza la metodologia seguita nel Sinodo: lo stile di lavoro dei Circoli minori intorno a un tavolo, ha spiegato, «è veramente un aiuto enorme a partecipare», in «un dialogo stretto», a rimanere continuamente «attivi nell’ascolto e nella parola che si dice», come una «responsabilità delegata verso l’insieme». Questo vuole dire, ha aggiunto, «relazioni» e conoscere le persone con la loro storia. L’abate cistercense ha raccontato che, in questi giorni, era seduto accanto a una donna israelo-palestinese, condividendo così l’esperienza di una persona che «soffre nella sua carne la guerra attuale». E ha, inoltre, fatto notare di essere al Sinodo, perché eletto dell’Unione superiori generali. In questo contesto, ha detto, è chiamato a rappresentare la vita monastica e proprio come monaco sta imparando molto da questo Sinodo. Anche perché, ha confidato, ricorda «un po’ l’impostazione che san Benedetto dà al cammino di ogni comunità», affermando che «l’abate deve regolare il cammino del gregge in modo che i forti non siano mortificati nella loro generosità e i deboli non siano scoraggiati». Questo significa che «si deve regolare il cammino della comunità e il Sinodo lo fa per tutta la Chiesa». Il valore più grande, infatti, «non è tanto quello che diciamo o decidiamo» ma anzitutto che «si mantenga la comunione della Chiesa». Per questo Lepore ha confidato di sentirsi richiamato «a una conversione, a un ascolto», considerando che forse è venuto al Sinodo preoccupato più di quello che doveva dire o si sarebbe detto, e invece si è accorto che «la cosa più importante è quello che lo Spirito Santo dirà e quindi il nostro ascoltarci reciproco». È importante, ha aggiunto, «veramente ascoltarsi senza che la parola mia o dell’altro ci separi».

L’abate ha concluso sottolineando che si è creata e si crea sempre di più come «una comunione di fondo, una simpatia, un’empatia» tra tutti che stupisce e riempie di speranza. «Stiamo andando — ha detto — verso qualcosa che è bello per la Chiesa intera», per cui è bene «dargli tempo, silenzio, spazio», e soprattutto dare la possibilità «a Dio di convertire il nostro cuore».

Rispondendo a una domanda posta successivamente dai giornalisti, il prefetto Ruffini ha ricordato che «non siamo fuori dal mondo» e che «ci sono stati già due momenti di preghiera intensa sulla situazione in Medio Oriente e sulle guerre in generale». Il Sinodo «sta pregando e c’è un condivisione su questi temi nei Circoli». Inoltre gli appelli del Papa e le parole del cardinale segretario di Stato confermano che la pace è un tema ben presente nell’assemblea.

In risposta a una domanda, suor Palencia Gómez ha affermato che il Sinodo, dove c’è «diritto di parola, è un percorso, un processo graduale che farà vedere cambiamenti un po’ alla volta: adesso stiamo preparando il terreno per i cambiamenti futuri». Non va dimenticato, ha proseguito, che «ci sarà un’altra assemblea, più decisiva e più conclusiva, nel 2024. Il Sinodo è un processo molto inclusivo e dobbiamo camminare insieme in una prospettiva circolare, perché torniamo sempre alle nostre basi, al popolo di Dio».

Alarcón García, a sua volta, ha aggiunto di aver già toccato con mano «il frutto dell’ascolto» e del lavoro comune nei tavoli. «Per una persona con disabilità come me, non è facile parlare» ha confidato. «Spesso non siamo ascoltati, anche da cardinali e vescovi. A volte è davvero difficile esser ricevuti. E quando riesci a scalare la montagna, a essere ricevuto, alla fine vedi gesti paternalistici: ti ricevono con tenerezza, ti benedicono…». Ma «qui al Sinodo la realtà è diversa» ha riconosciuto: l’assemblea «ha un carattere fortemente pedagogico» tra ascolto e attenzione ai bisogni veri. «Quando i membri del Sinodo torneranno a casa — ha affermato ancora — nel contatto con le persone con disabilità vedranno “qualcosa” che magari prima non vedevano. Sono convinto che che da qui al 2024 continueremo a camminare insieme e che ci sarà davvero un cambiamento nelle strutture della Chiesa. La nostra partecipazione, come persone con disabilità, deve essere reale, deve essere una presenza fondata sulla comunione», a partire da Roma fino alle parrocchie.

Dopo che Ruffini ha puntualizzato alcuni aspetti dell’iter di elaborazione e votazione della sintesi finale, Lepore ha risposto a una domanda sul sacerdozio femminile, affermando che il Sinodo sta evitando di affrontare questioni specifiche separate dal loro contesto più generale. Non si è trattato, dunque, di un tema dominante di discussione: «non si è parlato del sacerdozio femminile ma piuttosto del diaconato» ha chiarito, aggiungendo che «l’importante è valorizzare la partecipazione della donna alla vita ecclesiale e riconoscerne meglio la dignità battesimale» a partire dalla vocazione dell’uomo e della donna nella Chiesa. A giudizio dell’abate, su questo tema occorre evitare la tentazione della superficialità e riflettere sulla base della profondità della coscienza ecclesiale.

Sul tema delle migrazioni è poi ritornata suor Palencia Gómez, rimarcando che non è possibile capire fino in fondo le sofferenze di quanti emigrano senza viverle in prima persona accanto a loro. Partendo da tale esperienza, è necessario camminare insieme per ascoltare il grido che proviene dalle persone coinvolte in questa «crisi umanitaria globale» e rendere la Chiesa più «responsabile», in modo da far arrivare il loro grido ai leader politici del mondo. Secondo la religiosa messicana, il Sinodo si è mostrato molto sensibile sull’argomento. Ma non basta essere testimoni di questa realtà; l’esperienza dell’America latina, dove il processo sinodale «non ha toccato tutte le periferie», dimostra che bisogna vedere, incontrare, ascoltare in modo aperto persone. Si tratta di una «sfida cruciale» da affrontare nei prossimi mesi che separano dalla seconda sessione del Sinodo in programma nel 2024: partire dalle realtà più piccole, dalle «periferie delle periferie», per trasmettere un messaggio a tutta la Chiesa e la società.

In conclusione il prefetto Ruffini, sempre in risposta a una domanda, ha voluto testimoniare che in Aula c’è «un dialogo sereno anche quando non si hanno le stesse posizioni». In particolare nei Circoli minori si viene sollecitati anche a «sottolineare i temi su cui non si è d’accordo, a non essere timidi o a nascondere le opinioni diverse». Ma questo, ha spiegato, «è sempre avvenuto nella storia della Chiesa, da Pietro e Paolo».

Il prefetto ha insistito sulla bellezza di affrontare tutte le questioni nella comunione. Il Sinodo, ha detto, «è uno straordinario esercizio di comunione nelle diversità», anche semplicemente culturali. «C’è uno sforzo di capirsi e di capire le ragioni dell’altro non restando fermi alle proprie opinioni» ha concluso rilanciando l’immagine della Chiesa «come un poliedro».