La nuova spiritualità? È un viaggio alla ricerca di sé (Paola Bignardi)

Si raccoglie la diffusa convinzione che la vita cristiana non sia “spirituale”. Bisogna interrogarsi sulla qualità delle esperienze proposte dalle nostre comunità

Si raggiunge Dio non per la fede di chi ha creduto ma con percorsi personali Si raccoglie la diffusa convinzione che la vita cristiana non sia “spirituale” Bisogna interrogarsi sulla qualità delle esperienze proposte dalle nostre comunità Ogni domenica Paola Bignardi ci sta conducendo ad avvicinare un mondo giovanile più chiacchierato che conosciuto, a partire dalla convinzione che occorra abbandonare gli stereotipi con cui abitualmente si guarda e si giudica una generazione piena di risorse, che si sente lasciata ai margini, impossibilitata a offrire al mondo in cui si affaccia il proprio originale apporto. Gli articoli si avvalgono delle indagini dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo e del lungo ascolto che i suoi ricercatori fanno di decine di adolescenti e giovani con interviste individuali, focus group, rilevazioni statistiche. La ricerca cui si fa particolare riferimento è quella in corso di pubblicazione e dedicata ai giovani che si sono allontanati dalla Chiesa, in un ideale confronto con coloro che sono rimasti. È frutto di un attento ascolto, ed è, anche per il lettore, un invito a fare altrettanto. Le altre puntate su Avvenire.it.

Spiritualità è…

Nella molteplicità delle immagini con cui i giovani rappresentano la loro idea di spiritualità, colpisce il duplice carattere di esse. Una serie ha un carattere dinamico: spiritualità è viaggio, salita, strada. Il viaggiare è vissuto come un’esperienza interiore: «Viaggiare… io penso che viaggiare potrebbe significare qualcosa di interiore nel senso… viaggiare dentro sé stessi per scoprirsi… quindi scoprire la felicità!». Un viaggio impegnativo, per vedere oltre e conoscere l’invisibile, alla ricerca di ciò che trascende la propria persona e la propria esperienza. Spiritualità come ricerca, dentro di sé, in cerca di sé stessi e del proprio io più profondo, dei propri desideri più riposti. La spiritualità, afferma una ragazza, «a me fa pensare a una ricerca tanto interiore quanto esteriore, nel senso di “sguardo introspettivo” per cercare di capire innanzi tutto me stessa e in secondo luogo anche il mondo che mi sta intorno; cercare di dare un senso all’universo forse è lo scopo ultimo dell’essere umano». È l’indice di un’inquietudine che rimanda oltre sé di continuo. Spiritualità è un infinito viaggio interiore.

La spiritualità è una possibile via a Dio. Dalle testimonianze dei giovani emerge che è possibile una spiritualità senza Dio: come ricerca di sé, che può raggiungere grandi profondità. Non è esente dal rischio del narcisismo e del ripiegamento, ma apre a grandi possibilità di interpretazione dell’umano e di esplorazione di esso con una sensibilità contemporanea. E se un tempo non ancora concluso molte persone hanno vissuto e vivono un percorso che va da Dio alla spiritualità, come espressione del proprio modo personale di vivere il rapporto con Dio, oggi mi pare che il percorso abbia invertito direzione: dalla spiritualità a – forse – Dio. Non si arriva a Dio per la via di ciò che si è ricevuto dalla fede di chi ha creduto, ma per lo più vi si giunge per un’esplorazione personale che si compie dentro il proprio mondo interiore. Oggi i giovani che si accostano alla fede anche attraverso l’inquietudine di percorsi personali che non hanno nulla di scontato, pensano che la dimensione religiosa della vita sia interiore e sentono l’aspetto istituzionale della fede come un inciampo che può avere anche l’esito di un rifiuto di tutto. Da qui potranno scaturire percorsi di incontro con Dio originali, forse anche stravaganti, lontani da quelli canonici riconosciuti nell’ambito ecclesiale, ma personali e vivi. La condizione di incredulità, vera o presunta che sia, suscita domande, rende più acuti gli interrogativi in un’esperienza interiore spesso sofferta. Si direbbe che anche questo prevalere della spiritualità, così intesa, sia uno dei frutti di quel cambiamento antropologico in atto, che porta le persone e soprattutto i giovani a dare una valutazione importante, quando non anche esasperata, del proprio Sé, in una sorta di soggettivismo spiritualistico e narcisistico che può chiudere dentro di sé.

I giovani intervistati nell’ambito della ricerca citata sopra sono pressoché unanimi nel ritenere che la vita cristiana non è spirituale. È per questo che hanno deciso di rivolgersi ad altre esperienze, per trovare luoghi e contesti in cui la loro domanda potesse essere soddisfatta. Da queste affermazioni si rimane molto colpiti: com’è possibile non cogliere il potenziale spirituale della vita cristiana? Certo occorre interrogarsi su che cosa i giovani stanno cercando, ma anche fare un esame di coscienza sulla qualità spirituale delle esperienze che vengono vissute e proposte dalle comunità cristiane: forse il loro attivismo impedisce di cogliere un’anima che, se resta troppo implicita, non riesce a rivelarsi. Bisogna anche dire che l’atteggiamento degli ambienti cristiani nei confronti del risveglio di spiritualità degli ultimi decenni ha contribuito a diversi allontanamenti. Vi sono scritti che risalgono ad alcuni anni fa nei quali già si prendeva atto di un risveglio di spiritualità estraneo alle modalità tradizionali e si valutavano le manifestazioni di nuovi percorsi spirituali con severità di giudizio, senza interrogarsi sulla domanda che in essi si esprimeva e si esprime; senza pensare che la crescente domanda dello spirituale racconta dell’uomo e della donna contemporanei, del loro anelito insopprimibile verso la pienezza di vita, la loro apertura a un di più, al senso profondo delle cose e la loro disponibilità a camminare e cercare. Vi sono poi luoghi di una spiritualità tradizionale che costituiscono una sorpresa.

Un giovane non credente, capitato per caso in un monastero al momento della preghiera, alla quale ha deciso di partecipare, al termine di essa ha ringraziato perché quel momento gli aveva permesso di fare un’esperienza di profondo silenzio. Quando la preghiera è oggetto di una cura particolare, ed è collocata in un contesto in cui la spiritualità attraversa la vita in tutti i suoi aspetti, allora essa sprigiona una carica interiore che coinvolge anche chi si sente lontano dalla fede. I giovani, con la loro inquieta ricerca spirituale, ci offrono una chiave di ingresso nel loro mondo interiore: siamo disponibili a entrarvi? Siamo disponibili a entrare in dialogo con la loro sensibilità, che potrebbe contribuire a ridare anima a modi di vivere la vita cristiana troppo spenti e abitudinari? E poi occorre che ci chiediamo, come educatori e come comunità cristiane, se siamo disposti a fare con loro un cammino che li accompagni ad ampliare l’orizzonte, e permettere loro di intravedere, al di là dei confini angusti del loro io, l’altro/Altro che abita l’infinito.