Ho letto con attenzione, vivo interesse e vero piacere il nuovo libro di Marco Roncalli, che soprattutto a Giovanni XXIII , il primo dei due protagonisti di questa sua fatica, ha già dedicato ripetuti studi (Giovanni XXIII e Paolo VI . Due vite intrecciate, Morcelliana, Brescia, 2023, pagine 288, euro 26). Senza forzature, il volume intreccia due esistenze che furono in realtà compenetrate da stima e affezione reciproche, da unità d’intenti e identico amore alla Chiesa, entrambe ricolme di schietta fede nel Dio fattosi Uomo come di passione vera per quegli uomini — tutti! — che quello stesso Dio era venuto a salvare.

La loro, in realtà, fu però una concordia discors, perché diverse — e l’autore, che pure, più volte, ne sottolinea l’identità di vedute, su questo non vuole tacere — furono le personalità dei protagonisti, diversa la loro formazione e l’estrazione culturale, diversi — profondamente diversi — i loro tratti caratteriali. Lombardi entrambi (bergamasco l’uno, bresciano l’altro), i cammini di Angelo Giuseppe Roncalli e Giovanni Battista Montini finirono per incrociarsi negli anni Venti del secolo scorso in quella Roma dove un altro lombardo, Pio XI , teneva saldo il timone della Chiesa. E proprio sotto il pontificato del Papa di Desio i due (Montini, soprattutto, nominato nel 1937 Sostituto alla Segreteria di Stato) finirono per assumere responsabilità crescenti, intrecciando Due storie “diplomatiche”, fra Istanbul e il Vaticano (Roncalli titola così il capitolo VIII ).

Tuttavia, fu soprattutto nei decenni successivi che i rapporti tra i due crebbero d’intensità, nelle fasi drammatiche dell’immensa tragedia del econdo conflitto mondiale, quando Montini (il quale aveva dato il suo determinante contributo alla stesura del radiomessaggio di Pio XII del 24 agosto 1939) risultò impegnato in prima linea anche nell’Ufficio Informazioni Vaticano per i prigionieri di guerra, mentre Roncalli, da Istanbul, dovette trasferirsi a Parigi in sostituzione del nunzio Valerio Valeri: un avvicendamento difficile in un momento indubbiamente difficile. La stima e l’amicizia reciproca aumentarono poi ulteriormente negli anni in cui entrambi fecero esperienza della «fraternità episcopale», da patriarca di Venezia Roncalli, da arcivescovo nel capoluogo lombardo Montini.

Se in maniera pressoché generale, la decisione da parte di Pio XII di nominare quest’ultimo alla sede ambrosiana fu letta come un espediente per allontanarlo da Roma — cosa che in effetti essa fu —, quell’esperienza pastorale finì tuttavia per arricchire e completare il profilo di Montini, consentendogli, dopo una lunga attività diplomatica, di avere una visione più ampia del vissuto ecclesiale. Vedeva giusto a riguardo Giorgio La Pira, il quale il 5 novembre 1954 scrisse a Montini per manifestargli la propria gioia e, al tempo stesso, il proprio dispiacere per la decisione pontificia. «Gioia — scriveva il sindaco di Firenze — perché Ella ha ora la pienezza del sacerdozio: e chissà che il Signore non abbia preparato, con questo fatto, il Suo Vicario di domani! Lo crediamo in tanti (…) e ora il dispiacere: anche? sì, anche: perché se Lei va via dalla Segreteria di Stato vuol dire che una scelta è stata operata».

Furono anni, quello del servizio episcopale, nei quali le figure di Roncalli e Montini, ciascuno con posizioni proprie, ebbero modo di caratterizzarsi all’interno dell’episcopato italiano, per posizioni in controtendenza rispetto a questioni di attualità pastorale e al rapporto con gli ambienti politici: più distaccato, lontano da ogni ingerenza il primo, che — pronto ad allinearsi alle direttive romane — cercò comunque di evitare, per quanto poté, i toni da crociata; più sensibile all’unità del partito dei cattolici il secondo, che qualche tensione pure ebbe, a Milano, con la sinistra democristiana.

Nella seconda metà degli anni Cinquanta, i legami e la corrispondenza tra i due s’infittirono, mentre andò sempre più compenetrandosi la loro visione della Chiesa, della sua natura, del suo rapporto con il mondo. Si trattò di anni nei quali Montini progettò la «grande missione» a Milano, mentre in Roncalli si rafforzò sempre più la consapevolezza che la misericordia con gli erranti è la miglior medicina per l’errore, che pur resta tale.

Pio XII morì il 10 ottobre 1958 lasciando l’arcivescovo di Milano senza la berretta cardinalizia. Il 28 ottobre, all’undecimo scrutinio, Roncalli — dopo un iniziale confronto con l’armeno Agagianian (nei primi scrutini i due risultarono appaiati, trovandosi quindi «or su or giù, come ceci nell’acqua bollente»: questa la metafora usata dallo stesso Giovanni XXIII poco dopo l’elezione in una sua visita al Collegio Armeno) — raggiunse il quorum e la sera stessa dell’elezione nominò Tardini Segretario di Stato.

Quella del nuovo Papa fu, a mio avviso, una scelta solo in parte scontata: Montini avrebbe infatti avuto altrettanto titolo per ricoprire quel ruolo che, riportandolo in Curia, avrebbe tuttavia finito per riportarne l’esperienza al solo ambito diplomatico. Nominando Tardini, Giovanni XXIII rassicurò invece la Curia, nella quale ampi settori temevano il ritorno di Montini; d’altro canto, già l’indomani egli scrisse all’arcivescovo di Milano per assicurarlo che il suo nome sarebbe stato il primo nella lista dei futuri cardinali in vista del prossimo Concistoro: in tal modo Montini, vescovo della più grande diocesi del mondo, in possesso di una solidissima esperienza diplomatica che gli assicurava una conoscenza non superficiale dei grandi problemi della Chiesa universale, avrebbe potuto presentarsi con tutte le carte in regola al futuro Conclave.

E in effetti gli anni del pontificato roncalliano rivelarono il rapporto tutto particolare che nel corso degli anni s’era andato costruendo tra i due: anni nei quali il genio pastorale di Giovanni XXIII emerse progressivamente e la sua persona, pacata e mite, si trovò a osare sempre più, come mostra non solo la convocazione del Concilio ecumenico, annunciata pochi mesi appena dopo l’elezione, ma anche la sua progressiva disponibilità a favore di una distensione con la dirigenza sovietica (auspice anche il passo fatto dal leader del Cremlino Nikita Kruscev, che in occasione degli ottant’anni del Papa fece pervenire al pontefice un telegramma d’auguri) e il suo impegno in favore della pace, ben testimoniato dal radiomessaggio natalizio del 1961, dal ruolo assunto durante la crisi di Cuba, dall’emanazione della Pacem in terris, vero e proprio testamento del pontificato giovanneo. Anni nei quali Montini, in vista del prossimo Concilio, pur nella prudenza e nel tono misurato che sempre lo contraddistinsero, scoprì qualcuna delle sue carte: «Se escludiamo la lingua volgare dalla liturgia, perdiamo indubbiamente un’ottima occasione per educare rettamente il popolo e restaurare il culto divino», disse nel corso delle sessioni della Commissione centrale preparatoria.

Il volume di Roncalli termina con l’uscita di scena di Giovanni XXIII e l’ascesa di Montini sulla cattedra di Pietro, segnata dalla decisione di continuare e condurre a buon fine l’impresa del Concilio vaticano II . Un libro piacevole, denso e scorrevole al tempo stesso, che non di rado utilizza documentazione d’archivio: un libro che potrà certo far del bene a molti.

di FELICE ACCROCCA