Successivamente, nel XVI secolo, a complicare le cose, se così si può dire, arrivò l’introduzione da parte di papa Gregorio XIII del calendario gregoriano che riformava il calendario giuliano (promulgato da Giulio Cesare) seguito però ancora da molte comunità d’Oriente. Ne deriva uno sfalsamento di date, per cui, ad esempio, nel 2024 cattolici ed evangelici hanno festeggiato la risurrezione di Cristo il 31 marzo ì, le Chiese ortodosse lo faranno il prossimo 5 maggio.
L’argomento è stato affrontato più volte nei secoli e il Concilio Vaticano II ne parla esplicitamente, in un’appendice alla Costituzione sulla Sacra Liturgia “Sacrosanctum Concilium” adottata e promulgata nel 1963. Due i criteri indicati per definire una nuova datazione. In primo luogo va bene «che la festa di Pasqua venga assegnata ad una determinata domenica nel calendario gregoriano» purché «vi sia l’assenso di coloro che ne sono interessati, soprattutto i fratelli separati dalla comunione con la Sede apostolica». In secondo luogo, ricorda ancora il Dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani, il Concilio dichiara la propria disponibilità anche a «introdurre nella società civile un calendario perpetuo», a condizione, ovviamente, che sia preservata e tutelata la settimana di sette giorni con la domenica.