Il lavoro su di sé era la motivazione fondamentale che animava la filosofia degli antichi, la quale si esplicitava come pensiero logico e insieme esistenziale, come disciplina della mente e come disciplina del corpo, per una complessiva dedizione a Sophía, la Sapienza, l’intelligenza buona che fa sorgere il cosmo dal caos e che si rivela nella solitaria profondità della coscienza di ognuno. Ha scritto Kant: «Il filosofo non può essere considerato un lavoratore dedito alla costruzione di edifici scientifici, non è cioè uno scienziato, ma è un ricercatore della saggezza».

Ricercare la saggezza di cui vivere significa lavorare su di sé maneggiando con cura il proprio esplosivo. Se questo lavoro riesce, si giunge a generare calore ed energia risultando amici agli altri e a se stessi, e a vivere felici. Se invece non riesce, si può esplodere rovinando gli altri e prima ancora noi stessi. Oppure, più mestamente, si rimane spenti, le polveri bagnate, gli ideali consumati, con una desolante sensazione di fallimento. La psicologia, la religione e la filosofia sono le tre declinazioni dell’arte di conoscere, di governare e di salvare se stessi, scoprendo l’esplosivo di cui consistiamo per poi utilizzarlo per far saltare le gabbie dell’ingiustizia, a cominciare da quelle create dalla nostra mente e dal nostro cuore.

È da qui che nasce l’etica, che della psicologia, della religione e della filosofia rappresenta il frutto più bello. Essa libera chi la pratica dallo sconforto e dalla paura e rende in grado di introdurre giustizia e armonia nel mondo.