Nella Messa con il rito delle ceneri, celebrata a Santa Sabina, a Roma, papa Francesco ricorda che la strada della conversione da percorrere in Quaresima è sempre la stessa: elemosina, preghiera e digiuno
Papa Francesco attende i cardinali, i vescovi, i monaci benedettini di Sant’Anselmo, i padri domenicani e alcuni fedeli all’interno della basilica di Santa Sabina. Nella messa per il rito delle ceneri ricorda le parole di Paolo ai Corinzi per dire: «Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!». Spiega che quello della Quaresima è un momento propizio per «ritornare all’essenziale, per spogliarci di ciò che ci appesantisce, per riconciliarci con Dio, per ravvivare il fuoco dello Spirito Santo che abita nascosto tra le ceneri della nostra fragile umanità». Ritornare all’essenziale, ripete più volte e «l’essenziale è il Signore». Il tempo di Quaresima ci consente di tornare alla verità su noi stessi e a Dio e ai fratelli. Le ceneri ci ricorda l’argilla di cui siamo fatti, ci dice che siamo opera di Dio, che veniamo dalla terra e abbiamo bisogno del Cielo, «di Lui; con Dio risorgeremo dalle nostre ceneri, ma senza di Lui siamo polvere». Spesso lo dimentichiamo usando «dei maquillage per crederci migliori di quello che siamo, ma siamo polvere». In Quaresima allora possiamo «spogliarci della pretesa di bastare a noi stessi e della smania di metterci al centro, di essere i primi della classe, di pensare che con le nostre sole capacità possiamo essere protagonisti della vita e trasformare il mondo che ci circonda». Possiamo convertirci, guardarci dentro, capire qual è il senso del nostro essere al mondo. «La Quaresima è un tempo di verità per far cadere le maschere che indossiamo ogni giorno per apparire perfetti agli occhi del mondo; per lottare, come ci ha detto Gesù nel Vangelo, contro le falsità e l’ipocrisia: non quelle le falsità e le ipocrisie degli altri, no, le nostre, guardarle in faccia e lottare».
Ma fare i conti con noi stessi non basta. Bisogna anche tornare a Dio e ai fratelli. Se, «infatti ritorniamo alla verità di ciò che siamo e ci rendiamo conto che il nostro io non basta a sé stesso, allora scopriamo di esistere solo grazie alle relazioni: quella originaria con il Signore e quelle vitali con gli altri». La cenere ci ricorda che ogni pretesa di autosufficienza è falsa e che «idolatrare l’io è distruttivo e ci chiude nella gabbia della solitudine». È distruttivo «guardarsi allo specchio con la fantasia di essere perfetti, con la fantasia di essere al centro del mondo. La nostra vita, invece», ripete il Papa, «è anzitutto una relazione» e possiamo «rinnovarla e rigenerarla grazie al Signore e a coloro che Egli ci mette accanto». Ma per fare questo, per ascoltare gli altri, per imparare ad amarli siamo «invitati a percorrere tre grandi vie: l’elemosina, la preghiera e il digiuno. Un classico, non ci vogliono novità in questa strada, Gesù lo ha detto, è chiaro: l’elemosina, la preghiera e il digiuno. E non si tratta di riti esteriori, ma di gesti che devono esprimere un rinnovamento del cuore». L’elemosina, spiega Francesco, non è un gesto che serve per rimetterci a posto la coscienza, «per bilanciare un po’ il proprio squilibrio, ma un toccare con le proprie mani e con le proprie lacrime le sofferenze dei poveri; la preghiera non è ritualità, ma dialogo di verità e amore con il Padre; il digiuno non è un semplice fioretto, ma un gesto forte per ricordare al nostro cuore ciò che conta e ciò che passa». E, come diceva Benedetto XVI, «ai gesti esteriori deve sempre corrispondere la sincerità dell’animo e la coerenza delle opere. A che serve infatti lacerarsi le vesti, se il cuore rimane lontano dal Signore, cioè dal bene e dalla giustizia?». Accade troppo spesso, invece, che i nostri gesti non toccano la vita e non fanno verità. «Magari li compiamo solo per farci ammirare dagli altri, per ricevere l’applauso, per prenderci il merito. Ricordiamoci questo: nella vita personale, come nella vita della Chiesa, non contano l’esteriorità, non contano i giudizi umani e il gradimento del mondo; conta solo lo sguardo di Dio, che vi legge l’amore e la verità».
Invece, mettendoci sotto lo sguardo di Dio questi gesti esprimono chi siamo veramente, suoi figli e fratelli tra di noi. «L’elemosina, la carità, manifesterà la nostra compassione per chi è nel bisogno e ci aiuterà a ritornare agli altri; la preghiera darà voce al nostro intimo desiderio di incontrare il Padre, facendoci ritornare a Lui; il digiuno sarà la palestra spirituale per rinunciare con gioia a ciò che è superfluo e ci appesantisce, per diventare interiormente più liberi e ritornare alla verità di noi stessi». Abbiamo «quaranta giorni favorevoli per ricordarci che il mondo non va rinchiuso nei confini angusti dei nostri bisogni personali e riscoprire la gioia non nelle cose da accumulare, ma nella cura di chi si trova nel bisogno e nell’afflizione. Mettiamoci in cammino nella preghiera: ci sono dati quaranta giorni favorevoli per ridare a Dio il primato nella vita, per rimetterci a dialogare con Lui con tutto il cuore, non nei ritagli di tempo. Mettiamoci in cammino nel digiuno: ci sono dati quaranta giorni favorevoli per ritrovarci, per arginare la dittatura delle agende sempre piene di cose da fare, le pretese di un ego sempre più superficiale e ingombrante, e scegliere ciò che conta»