«La scienza non è in grado di spiegare tutto né di dire perché è nato l’Universo», dice la presentatrice. «E sono grata a papa Francesco per il suo magistero in difesa del Creato»

La nostra casa comune: così papa Francesco chiama il creato nell’enciclica Laudato si’. Sono anni che, con il suo sorriso dolcissimo e una volontà di ferro, Licia Colò ci accompagna a scoprire e tutelare questa casa. Lo fa con programmi come L’Arca di Noè, Geo&Geo, King Kong, Il pianeta delle meraviglie, Alle falde del Kilimangiaro, per arrivare a Eden su La7 e Il mondo insieme su Tv2000. Licia si confronta, intervista, va sul posto e domanda, con quello stile schietto che la contraddistingue. In un’epoca in cui la televisione va di fretta e, per lo più, non ha tempo per approfondire, lei ha scelto di non cambiare velocità. «Ci sono stati tanti cambiamenti ma adesso, paradossalmente, il cambiamento consiste nel non cambiare. In un momento in cui la televisione si trasforma perché diventa sempre più veloce, sempre più esplosiva, alla ricerca dello scoop, abbiamo scelto di continuare con il nostro stile. La natura non è schizofrenica. La natura cambia ma in maniera lenta rispetto ai tempi umani, e per raccontarla non si può avere fretta».
 
Dopo i due anni di pandemia e di distanziamento, qualcosa è cambiato nei rapporti umani? Si è sviluppata una sensibilità per l’ambiente?

«Vorrei essere ottimista, perché alla fine dico sempre che dobbiamo girare la faccia verso la luce. Però, se devo risponderti sinceramente, penso sia stato un po’ un fuoco di paglia. Se guardiamo a ciò che è accaduto, quando sembrava ci volessimo tutti più bene, avessimo compreso il valore dello stare insieme e della tolleranza, ora mi sembra tutto uguale, se non peggio. Ho la sensazione che non abbiamo imparato molto. Dopo tanti anni mi rendo conto che uno da solo non può cambiare il mondo, ma questa non è una giustificazione per non fare nulla: se credo in qualcosa ci credo a prescindere, vado avanti per la mia strada. Alla fine avrò fatto la mia parte, non sarò stata complice di qualcosa di sbagliato».

La passione per la natura è qualcosa che hai sentito in te da sempre? «Arriva dai miei genitori: mia mamma era una persona che creava un bosco anche in giardino… Avevamo la casa dei pipistrelli, le casette per gli uccellini, non si buttava niente perché dovevamo dare da mangiare ai piccoli animaletti che arrivavano. È dalle piccole cose che nascono delle grandi sensibilità. Non c’è bisogno che un genitore sia Greta Thunberg per farti capire il valore di ciò che ti circonda. Non sono neanche i grandi insegnamenti: le parole spesso sono surclassate dai gesti quotidiani… Tu, figlio, cresci vedendo che tua madre e tuo padre si comportano in un determinato modo e ti comporti così a tua volta».

Il Papa nel 2015 ha pubblicato un’intera enciclica dedicata alla salvaguardia del creato, la Laudato si’: cosa ha significato per te?

«Papa Francesco ha preso delle posizioni molto forti, con gran delicatezza. La Laudato si’ ha messo in evidenza quanto tutto sia connesso, e quindi quanto l’uomo non possa sconnettersi dalla natura, dalle specie selvatiche. Quell’espressione semplicissima che lui ha utilizzato, la “casa comune”, l’ho fatta mia: per me è stato il messaggio “pubblicitario” più importante dal 2000 in poi. La Chiesa non aveva mai preso delle posizioni così esplicite nella tutela del tutto. In un certo senso mi ha fatto anche riavvicinare alla Chiesa: non perché me ne sia mai allontanata… ma a livello personale ci sono stati dei momenti in cui non ho apprezzato alcune posizioni che parevano contrarie alla tutela della vita selvatica del pianeta. Ma non si può generalizzare, quando si parla di Chiesa: lo dico sempre a mia figlia Liala. I giornali mettono in evidenza gli scandali e questa cosa mi fa molto soffrire, non perché non se ne debba parlare, tutt’altro, ma si devono anche raccontare le cose meravigliose che vengono fatte. Nella mia vita ho avuto la fortuna di conoscere preti, missionari, medici che lavorano in ambito cattolico, tutti eccezionali, persone di cui non si parla o di cui si parla troppo poco ».

Tu sei credente… Ci puoi dire qualcosa in proposito?

«Non è possibile non esserlo, sarebbe tutto inutile: la mia fede è molto intima e personale. Amo la scienza e me ne occupo per divulgazione, ma quando sento dire che non siamo niente e diventeremo di nuovo polvere, mi viene una gran tristezza e mi dico che è impossibile: nulla avrebbe senso. Io sento il bisogno di credere, ma non come necessità, lo sento nel mio profondo: credo che tutto abbia un significato e che ci sia un dopo. Credo profondamente in Dio. Parlo spesso con i miei genitori che non ci sono più, ma non perché penso che ci siano i fantasmi attorno a me, non è questo (ride)… so che sono accanto a me, lo sento intimamente. Molte volte, quando ho momenti di profondo dolore, vado in chiesa, mi metto in un angolino e sto lì a meditare. Perché se la chiesa è considerata la casa del Signore, per me è il luogo in cui essere più in collegamento con Lui, anche se poi, è vero, lo siamo ovunque. La tranquillità, il raccoglimento di una chiesa, mi fanno sentire bene. A volte quando parlo con persone che non credono, o con i giovani, li invito a studiare la storia di Gesù: è una storia vera che va conosciuta a prescindere, perché è il più grande maestro di vita che ha avuto l’umanità».

Una delle strade che possono portare alla fede è forse la natura, che può aiutare nei momenti di sconforto…

«Per me la natura è fondamentale: pensa a quante cose incredibili abbiamo intorno a noi… Ricordo un bellissimo incontro in Veneto tra Margherita Hack, non credente, e un importante ecclesiastico. Mi è rimasta impressa alla fine questa frase di Margherita: la scienza probabilmente arriverà molto lontano, scoprirà questo e questo e quest’altro, però una cosa è certa: non potrà mai scoprire da dove è nato tutto. Questa frase bellissima da parte di una non credente è quasi una conferma che bisogna credere».