Tutto il racconto della Passione è solo un tentativo di dire parole attorno a un grande silenzio. Infatti è il silenzio il vero protagonista di questo racconto. La Croce è l’esperienza di uno sterminato silenzio. È il silenzio del cielo, ma anche il silenzio degli amici. Neppure Maria parla in questo Vangelo. La Croce è l’esperienza di immergersi nel silenzio di Dio. Da questa prospettiva scomoda però si intravede tutta la logica di Dio. Egli per salvarci, sceglie l’ultimo posto. È l’ultimo perché nessuno possa oltrepassarlo. Nessuno sarà più solo dopo questa morte perché il Figlio di Dio ha scelto di mettersi nell’ultima solitudine, quella che ci spaventa tutti. Si è collocato lì perché nessuno possa più dirsi solo e abbandonato. Egli si è fatto abbandonato perché nessuno più lo sia.
Egli si è fatto sconfitto perché nessuno si vergogni più delle proprie sconfitte. Dopo che Gesù è morto in quel modo non c’è più nulla che possa spaventarci perché ormai sappiamo che in ogni cosa, anche la più terribile, Lui è lì, confitto, a fare da muro alla nostra disperazione. Tutti prendono da Lui. Tutti. Persino i vestiti gli vengono tolti. È spogliato di tutto. Ma Suo Padre si rende visibile nella tenerezza di due discepoli dell’ultima ora: Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo. “Essi presero allora il corpo di Gesù, e lo avvolsero in bende insieme con oli aromatici, com’è usanza seppellire per i Giudei.
Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora deposto. Là dunque deposero Gesù, a motivo della Preparazione dei Giudei, poiché quel sepolcro era vicino”. La misericordia sul corpo di un morto è paradossalmente il primo bagliore della Pasqua. Ma nessuno se ne accorge.