È nel dovere del grembiule, nel dovere del «consumo umano» che il tempo, i pensieri e i progetti dedicati agli uomini diventano valori, diventano capitali, diventano investimenti, diventano patrimonio e ricchezza. Diventano felicità. Vale la pena di ridirselo e di continuare a viverlo a trent’anni esatti dalla morte di don Tonino Bello, vescovo di Molfetta, presidente di Pax Christi, uomo di Dio della stola e del grembiule. « È il principio dell’essere l’uno per l’altro a fondare la giustizia e il bene, il dovere e il dono. In questa etica della trascendenza non è il possesso a far da padrone, ma la perdita di sé per l’altro, in cui solo è possibile che l’io ritrovi la verità di sé stesso; non è il dominio dell’uomo sull’uomo, ma la comunione dei volti che rende umana la vita e possibile e significativo il vivere insieme » (Bruno Forte).
Un punto di arrivo che necessita di voglia di cambiare, di anelito di profezia, di ricerca di profondità e di appello alla radicalità e allo scuotimento « dalla cultura del lamento al culto della speranza ». Un cammino per un cambiamento d’ottica, ma anche un cambiamento per trovare nuovo nutrimento. Un cammino di transumanza che deve rappresentare una dinamica organizzata di un momento di “rinfresco” e di profonda riconsiderazione della nostra vita. L’analisi di una realtà «arida e brulla» che stimola il viaggio come movimento dello spirito di una comunità di donne e uomini di buona volontà… Tale coraggio di rinnovamento spinge al cammino e alla grande responsabilità di portare gli altri, di stimolarli al viaggiare, di scuoterli dalla pigrizia, di cercare e trovare la «terra fertile e verdeggiante ». Un nutrimento nuovo. Riscoprire una voglia di fare servizio, di vivere l’etica, di vivere il «grembiule». Una voglia liberata da tornaconti, dedicata liberamente all’Uomo, liberante per ogni organizzazione incrostata da tensioni e violenze nascoste.
Chi incontra le altre persone con felicità e godendo delle emozioni dell’incontro stesso, chi le incontra servendo la vita per il solo gusto della vita e per ricercare la vera felicità, oggi, è guardato con sospetto. È tenuto d’occhio, perché considerato pericoloso e, addirittura, dichiarato destabilizzante. Ogni cambiamento, ogni slancio verso l’emozione, costituisce una minaccia. Le regole e i regolamenti sostituiscono l’armonia, la passione, la vita stessa. I processi e le procedure si moltiplicano, ma così, inesorabilmente, a poco a poco il canto e la gioia si spengono. Arrivano il legalismo, il formalismo, il giuridicismo. Uomini e donne perdono il loro nome in un’atmosfera anonima, fredda e calcolata. I numeri hanno la meglio sulle persone. L’efficienza è l’idolo cui viene sacrificata la crescita degli individui. Urge ritrovare una dimensione più discreta, meno ingombrante, ricondotta alla funzione di servizio alla vita, meno invadente, più elastica, più modesta, portatrice di un messaggio di libertà, meno trionfalista, che faccia respirare la vita.
Altrimenti c’è la morte per asfissia. La corazza, se ha un peso insopportabile finisce per schiacciare proprio la vita che dovrebbe proteggere. La testimonianza di don Tonino Bello oggi come allora ci obbliga alla transumanza e a farci domande radicali. «Quante assenze consuntiviamo nella nostra vita di chi avremmo voluto e quante altre sono quelle nostre nella vita di chi avrebbe voluto. Questo è il tormento che mi assale spesso e mi porta a tenere un ipotetico conto delle parole mai dette e delle carezze mai date che avrebbero potuto curare, che avrebbero potuto consolare o che avrebbero potuto salvare». (https://tinyurl.com/3phz8x9m). Dobbiamo imparare a scoprire le forze più profonde della relazione, l’emozione dell’incontro e della condivisione quotidiana. Dentro i nostri volti dobbiamo imparare a scorgere sogni e idee nuove per una visione sempre vivace e creativa della circolarità delle nostre vite. C hi ce lo insegnerà? Chi ci aiuterà a trovare esperti in queste cose? Chi ci proporrà dei momenti di formazione su tutto ciò? Tutti avvertiamo un torpore tra i nostri giovani. Chi li deve scuotere? Tutti avvertiamo una sofferenza tra i nostri malati e anziani. Chi li deve consolare? Tutti avvertiamo una rabbia tra i nostri disoccupati. Chi li deve aiutare? Tutti avvertiamo una tristezza tra i nostri poveri e immigrati. Chi li deve consolare? Signore, donaci testimoni, profeti, rivoluzionari e la vicinanza di chi ci vuole bene veramente. I governanti, i gestori, i preti, gli educatori ci devono voler bene veramente e devono essere vicini alla vita sino a toccarla e abbracciarla. Impastarsi con le povertà. Vivere gli androni dei condomini vicini agli «odori casalinghi».
«Ecco la grande attrattiva del tempo moderno: penetrare nella più alta contemplazione e rimanere mescolati fra tutti, uomo accanto a uomo. Vorrei dire di più: perdersi nella folla, per informarla del divino, come s’inzuppa un frusto di pane nel vino. Vorrei dire di più: fatti partecipi dei disegni di Dio sull’umanità, segnare sulla folla ricami di luce e, nel contempo, dividere col prossimo l’onta, la fame, le percosse, le brevi gioie. Perché l’attrattiva del nostro, come di tutti i tempi, è ciò che di più umano e di più divino si possa pensare, Gesù e Maria: il Verbo di Dio, figlio d’un falegname; la Sede della Sapienza, madre di casa» (Chiara Lubich). Questo è anche l’insegnamento di don Tonino Bello: voler dire di più e voler fare di più. «Chiedete al Signore il fuoco della festa, per incendiare il mondo con le vampe della profezia e incenerire gli schemi della sua logica antica». In questo e in tutto il suo magistero don Tonino sviluppa il passaggio fondamentale che ribalta una logica del pensare per emozionare, pensare e progettare.
La parola assume il ruolo di protagonista, la poesia, la tenerezza dello sguardo “scongela” le potenzialità di chi lo ascolta e le riattiva in entusiasmatici percorsi operativi di cose e piani di lavoro carichi del «fuoco della festa». Il coraggio di Dio. Le stelle di Baruc rispondono a Dio risplendendo di luce: eccoci. Questa è la luce che don Tonino ci invita ad accendere: energia e forza di scuotimento. «Se c’è una conversione che dobbiamo chiedere alle nostre comunità è quella di essere capaci di liberare Speranza di saperla organizzare, di dare carne e sangue agli aneliti dei piccoli, dei poveri: di disegnare per loro i percorsi concreti per raggiungere le cime utopiche». L’iperbole di don Tonino è una scelta radicale tra due infiniti. Quello di Dio, caritas sine modo: il Tanto raggiungibile col niente e con la perdita massima. E quello del Potere lucraris sine modo: il Niente raggiungibile con la massima ricchezza materiale ma con nessuna presenza di Dio (https://tinyurl.com/2yp6a4d9).
Don Tonino racconta l’infinito di Dio con la poesia e con la dolcezza e tenerezza di padre, ma con anche ispirazioni creative e rivelative. Le sue ispirazioni sovrastano tutto e un’influenza che viene dal di fuori si impadronisce di lui: una potenza divina penetra in lui e lo porta a creare certe immagini perfette attraverso le quali cerca di spiegare la quotidiana presenza di Dio. Questi sono lampi di ispirazione attraverso cui viene fuori il genio e l’intuizione misteriosa della presenza divina accordata ai mistici. Ancora dobbiamo commuoverci per i bisogni dell’umanità, ancora dobbiamo nutrirci di santi di profeti e di santi testimoni e ancora dobbiamo sporcare il nostro grembiule di «umanità corrente».