L’Associazione “Ancilla Domini” è un’istituzione secolare con i santi voti religiosi: i membri sono donne libere da impegni matrimoniali che vogliono offrire tutta la vita per la santità dei sacerdoti, imitando il Cuore materno di Maria verso il Sommo Sacerdote Gesù, seguendo gli insegnamenti del Beato Giacomo Alberione espressi in un articolo «Opera “Mater Christi”» su Vita Pastorale maggio 1963 e trasmessi e realizzati da don Stefano Lamera e da don Furio Gauss. L’Associazione ha ottenuto l’approvazione diocesana il 1 giugno 1997 da Mons. Eugenio Ravignani, Vescovo di Trieste.
La Responsabile Nazionale è Amalia Usai che sin dalla fondazione ha seguito fedelmente gli insegnamenti di don Stefano Lamera, interprete del pensiero del Beato don Giacomo Alberione, fondatore della Famiglia Paolina, ed è stato coadiuvato in ciò da don Furio Gauss, sacerdote della diocesi di Trieste.
Attualmente la guida spirituale e curata da Don Emilio Cicconi, Delegato nazionale dell Istituto "Gesù Sacerdote"
Le tappe della nascita dell’Associazione “Ancilla Domini” e del suo riconoscimento canonico attraverso le parole prima di Don Stefano Lamera, Fondatore dell’Associazione, e successivamente di Don Furio Gauss, Assistente sino al 06/03/2023, giorno della sua nascita al cielo.
Le testimonianze sono state raccolte da Amalia Usai, Responsabile nazionale dell’Associazione, e pubblicate in “Ancilla Donimi”, organo di collegamento, anno 42 marzo/aprile 2023 n.2.
Insieme alla ricerca di una eredità promessa
“Diciamo al Signore grazie e che benedica in modo particolare anche Don Gauss che ci ha accompagnati tutti. Sapete, io sono come Tobia che deve fare il viaggio per andare a prendere una eredità per la Famiglia, per tutta la Famiglia, no? L’eredità erano le “Ancillae Domini”. Il viaggio è un po’ lungo; da solo come ce la facevo?
E allora il Signore ha messo insieme l’Arcangelo Raffaele e Tobia. L’Arcangelo Raffaele è Don Gauss, il quale mi ha accompagnato per il viaggio, mi accompagna, mi ha anche sostenuto quando c’erano i pesi che facevano un po’ paura ed ha guidato tutto per prendere l’eredità e portarla alla Famiglia, alla gioia di tutti.
Che il Signore lo benedica, il Signore lo ricompensi, vogliategli sempre bene e tenetelo sempre nel vostro cuore davanti al Signore. E sappiate che io mi fido più di lui che di me. Quindi voi state tranquille. Va bene? Che il Signore davvero lo ricompensi tanto. Un’Ave Maria!”. Don Lamera (TS 1978, p136)
MA DOV’ERA NASCOSTA QUESTA EREDITA’?
“Le cose andarono così”, scrive don Furio Gauss (Circ. A.D. n 4, 1999).
“Don Giacomo Alberione, il Fondatore della Famiglia Paolina, pensava ad un Istituto femminile che dovesse portare nell’ambito secolare quello che sono e fanno le Pie Discepole del Divin Maestro. Voi le conoscete bene. Sono la seconda fondazione femminile di Don Alberione. Vivono da consacrate a Dio, da religiose. Il loro compito specifico è quello di assistere la persona dei sacerdoti e l’opera dei sacerdoti. Così come la Madonna ha assistito la persona e l’opera di Gesù, la persona e l’opera degli Apostoli.
Questo Istituto che avrebbe portato nell’ambito secolare quanto le Pie Discepole compiono da religiose, questo Don Alberione non lo ha potuto realizzare di fatto finché era vivo. Ma questa sua intenzione era espressa. Già vi ho portato la testimonianza di una signora Eleonora, resa dinanzi a Don Stefano Lamera e ad alcune di voi, partecipanti ad un corso di Esercizi spirituali, nell’autunno 1979, nella Casa della Circonvallazione Appia, a Roma.
Eleonora aveva avuto modo di parlare personalmente con Don Alberione e gli aveva detto: “Primo Maestro, Lei che ha fatto tanto per i preti diocesani con edizioni apposite, con la rivista “Vita Pastorale” che invia a tutti i sacerdoti, perché non fa qualcosa per quelli di loro, tanti, che sono soli, non hanno la mamma o una sorella che se ne prenda cura. Debbono arrangiarsi da soli fra chiesa, canonica, oratorio. Debbono espletare da soli le faccende domestiche… Come ha provvisto ai religiosi paolini con le Pie Discepole, pensi un po’ anche ai preti diocesani”.
Don Alberione ascoltò con molta attenzione e dopo un po’ di riflessione rispose: “ Sì, è necessario provvedere anche a questo. Ma non ci riuscirò io, in vita. Lo faranno altri, dopo di me”.
Certamente Don Alberione lo aveva già nelle intenzioni fin dalla stesura del suo libro “La donna associata allo zelo Sacerdotale”. Ai sacerdoti aveva sempre insegnato a garantire la riuscita del proprio ministero pastorale con la preghiera, l’offerta delle sofferenze, la dedizione di anime sante ch’egli chiamava “madri sacerdotali”. E sollecitava a proporre questa vocazione a persone disposte all’impegno.
Don Stefano Lamera continuò sulla medesima linea formativa e operativa. Ritengo che ognuno di noi membri dell’Istituto “Gesù Sacerdote” disponesse già di qualche “madre sacerdotale” e ne constatasse il beneficio.
“A me toccò il ruolo di svegliarino…”
Ma venticinque anni fa (1974) il Signore manifestò il suo disegno che le nostre “madri sacerdotali” si associassero fra loro prendendo il nome di “Ancillae Domini”. A me toccò il ruolo di svegliarino, di campanello d’allarme per avvertire don Lamera che era giunto il momento giusto per farlo.
Nel mese di aprile del 1974 il Signore mi fece giungere alla stazione di Venezia S. Lucia, ad aspettare un treno che non arrivava mai. Poco più in là di me, sotto la pensilina, c’ era una persona, che non conoscevo, che aspettava pure lei quel treno che non arrivava. Parecchio tempo dopo il treno arrivò. Vi salii (altri viaggiatori nel frattempo avevano optato per altre soluzioni), sicché ci trovammo in una carrozza del rapido soltanto in due persone: io e Luisa Vannini.
Quando il treno ripartì, lei si avvicinò e disse: “Non la disturba se mi siedo qui accanto? Potremmo parlare”. “Sì, sì, venga”. Non la conoscevo. So soltanto che, quando il treno, percorso il lungo ponte sulla laguna, arrivò a Mestre, noi stavamo già parlando di consacrazione secolare. Il discorso era filato dritto.
La consacrazione secolare Luisa l’aveva sognata, nella sua vita. Ma, non per sua cattiva volontà, non aveva potuto assecondare il suo disegno. Ma lo aveva sognato. Morti da poco i genitori, viveva da sola; una vita fatta d’impiego all’ufficio, agli impegni di carità e di apostolato, che le sorelle di Gorizia molto bene potrebbero enumerare.
Parlando del sacerdote, parlammo dell’importanza di sostenere i sacerdoti e la loro opera. Ecco, fu un viaggio nel quale si parlò di Dio, di consacrazione secolare e di vocazioni sacerdotali. Arrivati a Monfalcone, lei scese per prendere la coincidenza per Gorizia ed io proseguii per Trieste. Prima di lasciarci le chiesi: “Cosa le pare, continueremo questo discorso?”. Rispose: “Chissà!”. Conclusi io: “Quando il Signore lo vorrà, ci incontreremo ancora”. Il Signore fece sì che noi ci incontrassimo ancora.
Il giorno dopo telefonai a Don Lamera. La lettera che voi avete in fondo al vostro Vademecum.
In sintesi gli chiedevo: “ Don Lamera, non Le sembra che tante persone, che per vari motivi, assistenza ai propri genitori o altre cose, non hanno potuto orientarsi ad una scelta che fosse o per la vita religiosa o per un impegno secolare fuori casa, quando il Signore prende in Paradiso i genitori, si trovano ad avere a disposizione tempo, energie; hanno tanta esperienza e hanno già fatto un cammino interiore. Gli Istituti esistenti pongono un limite di età, accettano le candidate fino ad una certa età. Non potrebbero esserci, fra queste, delle persone che hanno venerazione e stima dei sacerdoti, che li vorrebbero aiutare con ogni loro attività, preghiera e sacrificio? Visto pure che il “Codice di Diritto canonico” prescrive che le persone che più da vicino aiutano i sacerdoti in casa, o nelle loro opere, abbiano la così detta età canonica (si parlava allora di quarant’anni), queste sarebbero persone pronte come maturazione di mentalità, pronte ad un impegno concreto. Se ci fosse la vocazione, noi come potremmo accoglierle?”.
Don Lamera mi rispose: “Quello che proponi lo aveva pensato già Don Alberione”.
Don Alberione prevedeva che in tante situazioni sacerdotali sarebbero state utili delle anime secolari, residenti sul posto, a conoscenza delle possibilità, delle necessità del sacerdote, ad integrare la sua opera, ad avere cura della sua persona, come la Madonna ebbe cura della persona e dell’opera di Gesù e degli Apostoli.
L’inizio della Associazione “Ancilla Domini”
Don Lamera presentò la mia proposta all’esame del Superiore Generale della Società San Paolo, allora Don Luigi Zanoni. La proposta fu da lui accolta, approvata e incoraggiata. Ebbe così inizio l’Associazione “Ancilla Domini”.
Per farla conoscere, organizzammo ritiri a livello regionale, dapprima nella Venezia Giulia e in Sardegna, poi anche nelle altre regioni già dal 1974.
Nel 1978 iniziò la pubblicazione, a stampa, della nostra circolare “Ancilla Domini”, a scadenza bimestrale.
Nel 1978 abbiamo fatto il primo corso di Esercizi spirituali, nella Casa “Le Beatitudini” a Trieste. Il giorno della Madonna della Neve, il 5 agosto, Don Lamera accolse le prime professioni temporanee.
Il 6 agosto 1979, a Lourdes, Don Lamera mise in mano alle”Ancillae Domini” il Vademecum. Ricordo tutto questo con immensa gratitudine a Dio, ma anche con tanto affetto grato a Luisa Vannini. A sorpresa, il Signore ci ha coinvolti in un suo provvidenziale progetto di consacrazione.
Il riconoscimento canonico nella Chiesa
“Quando sorse l’Associazione nel 1974,“ continua Don Furio (Circ. A.D. n 6, 1997), Don Alberione era già morto. “Al Primo maestro la vostra Associazione non sarebbe spiaciuta affatto. Me lo disse più di una volta che auspicava un parallelo secolare alle Suore Pie Discepole. Ma questo desiderio del Fondatore è rimasto desiderio”. Così ci spiegava Don Lamera che aveva provveduto a trasformare quel desiderio in realtà.
Intanto passavano gli anni e l’Associazione “Ancilla Domini” aveva bisogno di un riconoscimento canonico nella Chiesa. Talvolta lo facevamo presente a Don Lamera. Lui lo ammetteva, ma guardava lontano, assorto.
Quest’anno (1997), mosso da una sollecitudine improvvisa di mettere ogni cosa a posto, si rivolse al nuovo Vescovo di Trieste, Mons. Eugenio Ravignani, e gli chiese un riconoscimento diocesano all’Associazione nata proprio nella sua Diocesi. Ancora un riferimento alla città giuliana posta sotto lo sguardo di Maria, Madre e Regina, all’ombra del Tempio mariano memoriale dell’affidamento dell’Italia tutta al Cuore Immacolato di Maria.
La data della richiesta scritta da Don Lamera al Vescovo era il 19 marzo 1997, solennità di San Giuseppe. Nei mesi successivi intercorse un carteggio fra il Vescovo di Trieste ed il Superiore Generale della Società San Paolo, Don Silvio Pignotti, perché nella stesura del nuovo statuto fossero garantite la fisionomia originaria dell’Associazione e la spiritualità paolina, tramite i membri dell’Istituto “Gesù Sacerdote”. Don Lamera frattanto pregava e spesso chiedeva notizie. La sera del 26 maggio, vigilia dell’incidente, nell’ultima telefonata che ricevetti da lui, con tanta premura paterna per le “Ancillae”, mi chiedeva ancora quali fossero le novità sullo svolgimento della pratica.
Qualche giorno dopo, Mons. Eugenio Ravignani giunse all’atto costitutivo della “Ancilla Domini” quale associazione diocesana, “nata a Trieste ma già diffusa in altre diocesi italiane, trovando adesione in un cospicuo numero di persone e già rivelatasi fonte di ricchezza, di motivi per la vita spirituale e per il servizio delle associate”.
L’atto della formale erezione canonica dell’”Ancilla Domini” venne firmato dal Vescovo di Trieste in data 1 giugno 1997, Solennità del Corpus Domini e giorno della nascita al cielo di Don Stefano Lamera.
“Avrete certamente presente quanto vi ho scritto nel mese di agosto”, continua Don Furio. “Oggi (Circ. A.D. n 7, 1997) per darvi un seguito logico, vi riporto anzitutto due lettere. Leggendole, avrete anche voi modo di comprendere l’importanza di questo momento storico per la nostra Associazione. Noterete quanta stima i Superiori abbiano di voi e quanto confidino nella vostra dedizione alla causa sacerdotale.
La prima lettera l’ha scritta il Superiore Generale della Società San Paolo, Don Silvio Pignotti, al Vescovo di Trieste, Mons. Eugenio Ravignani, in data 4 agosto 1997.
“Come Vostra Eccellenza può ben comprendere, sono contento che “Ancilla Domini”, una iniziativa tanto caldeggiata dal confratello Don Stefano Lamera, abbia ricevuto a Trieste l’approvazione e il riconoscimento ufficiale. Egli nutriva un autentico amore per i sacerdoti e desiderava aiutarli efficacemente nel loro ministero. Da qui l’idea di raccogliere in Associazione le persone che volontariamente scelgono di vivere accanto ai sacerdoti, per renderle consapevoli che il loro stato di vita è una vocazione e la loro opera una missione. Formulo i più fervidi voti perché l’Associazione conosca un ampio sviluppo e tutte coloro che entreranno a farne parte realizzino al meglio l’ideale da essa proposto”.
“Appropriata mi pare la nomina del Rev. Furio Gauss quale Assistente spirituale e la approvo senza riserve. Egli ha lavorato per lunghi anni accanto a Don Lamera e più di ogni altro conosce lo spirito che deve animare i membri della nuova Associazione”.
Firmato: Don Silvio Pignotti, Sup. Gen. S.S.P.
La seconda lettera l’ha inviata a me il Vescovo di Trieste, in una data che mi riesce suggestiva e considero programmatica: 15 agosto 1997, Festa dell’Assunzione della Beata Vergine al cielo.
“In data 1 giugno 1997 ho firmato l’Atto costitutivo dell’Associazione “Ancilla Domini”, riconoscendone la bontà per la vita cristiana. Ho così dato risposta a un desiderio espresso dal M.R. Don Stefano Lamera della S.S.P. e ad una iniziativa che Lei stesso, caro Don Gauss, aveva suggerito molti anni or sono, nel 1974”.
“E’ voto comune che l’Associazione si riveli capace di promuovere quella vita vocazionale di consacrazione a Dio e di dedizione alle persone dei sacerdoti e al loro servizio ministeriale che si propone e che, in definitiva, la giustificano. La sua approvazione formale, infatti, sarebbe priva di significato se essa mancasse di efficacia. L’efficacia dipende, almeno in parte, anche dalle persone che sono chiamate ad animare l’Associazione e ad attuare ciò che essa si prefigge. Ho pensato a Lei come “naturale” Assistente. Dico “naturale” perché, formato alla spiritualità paolina, ha saputo trasmettere la stessa spiritualità ad altre persone, anticipando l’esperienza che è e sarà propria dell’”Ancilla Domini”. Ho fiducia che questa Sua azione sacerdotale potrà generosamente continuare dando consistenza e vita all’Associazione.
“Avuto il gradimento del Superiore Generale della Società San Paolo, nomino con la presente lettera la S.V.R. Assistente spirituale dell’Associazione “Ancilla Domini” ai sensi dell’art.40 dello Statuto che stabilisce tale nomina a discrezione del Vescovo”.
La ringrazio per la Sua disponibilità e invio a Lei e a tutte le associate all’”Ancilla Domini” la benedizione del Signore”
Firmato: + Eugenio Ravignani, vescovo di Trieste
Carissime, nel momento in cui Don Lamera ci ha lasciati, la Chiesa ci ha dato il suo riconoscimento canonico ufficiale, la sua protezione ed il suo incoraggiamento. Vi sollecito a chiedere in preghiera la santità per tutte e per ciascuna di voi. In particolare per la vostra responsabile Amalia e per il vostro assistente spirituale Don Furio. Se saremo santi, l’Associazione sarà certamente come la Chiesa la desidera nei suoi atti costitutivi e come Don Alberione e Don Lamera la avevano prevista”.
E Don Furio ci confida il suo sogno…
Sapete qual è l’argomento più efficace per convincere tutti che l’”Ancilla Domini” come associazione è una cosa seria? Non l’esibizione al Vescovo del nuovo Statuto che avete ricevuto con rispetto e amore, ma l’applicazione fedele dello Statuto alla vostra vita.
Quando prego per voi, “Ancillae” carissime, sogno che i vostri Vescovi vi conoscano dal vivo, oranti e maternamente operative accanto al letto dei sacerdoti ammalati. Vi vedano come un raggio di sole nelle case canoniche, troppo silenziose e in penombra, accanto ai preti anziani o stanchi o demotivati. Che entrando nelle vostre chiese i Vescovi constatino il frutto delle vostre fatiche: le vedano accuratamente pulite, con le tovaglie d’altare immacolate e stirate, i fiori scelti e disposti con buon gusto, gli amitti e i camici profumati di pulito. Notino i chierichetti ed i lettori da voi ben istruiti. Vi apprezzino come animatrici del canto liturgico e della scuola di catechismo. E se il Vescovo arriva, senza preavviso, se entra in chiesa ad ora insolita, trovi voi inginocchiate dinanzi al tabernacolo, innamorate di Gesù Eucarestia.
Le “Ancillae” così realizzate sono molto più eloquenti e persuasive di quanto non lo siano le pagine scritte, pur importanti, dello Statuto e del Vademecum. Ne sono l’interpretazione più concreta, reale.
Don Stefano Lamera ha voluto lo Statuto della SSP deposto ai suoi piedi nella bara. Quello Statuto aveva diretto, misurato ogni suo passo nella vita religiosa. Così com’era stato per la vita di quei religiosi paolini a cui egli, da postulatore, aveva dato una mano perché qui in terra fosse riconosciuta la loro venerabilità o proclamata la loro beatificazione.
Lo Statuto è la nostra via, il nostro itinerario alla nostra santità specifica. Non va esibito; va assimilato e vissuto così che gli altri lo possano capire, evidente, dai nostri atti, dalla nostra vita.
Questo vale anche per l’efficacia della vostra azione vocazionaria.
Un’”Ancilla” impegnata nel suo ministero, umile, sorridente, gioiosa vale più di una predica o di un articolo sulle vocazioni. Ha più forza di una calamita per attrarre altre persone buone all’Associazione. E’ proprio questo che il Signore vi chiede. Ciò che si aspetta da voi. Ma dovete farlo da voi.
Nell’azione vocazionaria è bene, è logico che cerchiate di coinvolgere sempre nuovi sacerdoti dell’Istituto “Gesù Sacerdote” della vostra regione. Vivono la vostra stessa spiritualità, parlano il vostro stesso linguaggio spirituale. Trasmettono la gioia per propria consacrazione.
Non attendetevi l’impossibile dai nostri amati, venerati Vescovi. Un Vescovo, anche se gli avete spiegato con entusiasmo cosa sono le “Ancillae”, anche se sa che ha nella sua diocesi delle “Ancillae” e le conosce e le stima, non può mettersi a fare propaganda per l’Associazione “Ancilla Domini”. Lui è il Vescovo di tutti, di tutte le parrocchie, di tutti gli istituti religiosi e secolari, di tutte le associazioni che ci sono nella sua diocesi. Non può essere più incline ad uno rispetto agli altri. Deve essere imparziale. Non può fare preferenza alcuna per una spiritualità o per l’altra.
Vi ho aperto il mio animo. Vi ho detto chiaramente ciò che penso. L’impegno per l’Associazione “Ancilla Domini” è impegno nostro. Ed è un impegno forte.
Certamente abbiamo l’aiuto dall’alto, tanto aiuto. Tocchiamo giornalmente con mano l’intercessione paterna di Don Stefano Lamera.
Perciò rimbocchiamoci le maniche e consumiamo di più le nostre ginocchia.
Sac. Furio Gauss
Gesù, Sacerdote Eterno, attuò l'Incarnazione per mezzo di una Madre, e volle questa Madre associata alla sua opera di Redentore (per cui Maria è Corredentrice); soprattutto la volle vicino a sé ai piedi della Croce, quando immolandosi operava la nostra salvezza. In quel momento particolare, affidandole Giovanni come Figlio, la costituiva pubblicamente e ufficialmente Madre di tutti i Sacerdoti.
Diciamo «madre di tutti i Sacerdoti». Maria è Madre nostra, di tutti, e questa verità deriva soprattutto dal dogma del Corpo Mistico: Maria, come è madre del Capo, Gesù, così è madre di noi, sue membra. Perciò la maternità di Maria su tutti gli uomini è iniziata il giorno in cui il Verbo si è fatto carne. Ma ai piedi della Croce è a un apostolo che Maria viene affidata come madre, ed è un apostolo che viene affidato a Maria come figlio. Non possiamo on vedere in questo un privilegio, una maggiore intimità di vita e di collaborazione, tra Maria e gli apostoli di tutti i tempi, per cui la maternità di Maria sopra i Sacerdoti si esercita attraverso cure particolarissime.
Tutto è stato visto e predisposto da Dio «ab aeterno». Maria SS è stata predestinata dall'eternità Madre di Gesù Sacerdote e Corredentrice, sicché il primo titolo che le compete è quello di «Mater Christi», e nella sua missione di Corredentrice attraverso i secoli, è particolarmente madre e collaboratrice di quanti sono «alter Christus», scelti da Dio per applicare alle anime i frutti della Redenzione, ossia per continuare sulla terra la opera di Gesù.
Noi ci domandiamo: come Gesù volle avere nel tempo i suoi continuatori, i Sacerdoti, perché non potrebbe anche Maria avere delle sue continuatrici visibili, in anime generose, che sentano quasi un impegno di maternità spirituale verso i Sacerdoti, da esercitare con la preghiera, i sacrifici, una grande fedeltà alle parole dei Sacerdoti («Chi ascolta voi ascolta me», «Chi ascolta la mia parola, questi è mi è fratello, sorella e madre»), l'aiuto anche materiale?
Vediamo spesso il Sacerdote, specie diocesano, che soffre la solitudine, la calunnia, l'incorrispondenza ai suoi sforzi di ministero, talora in una condizione di abbandono spirituale e materiale, a cui nessuno pensa. Da ciò il rischio dello scoraggiamento, di uno stato di avvilimento che si presenta alle volte cronicizzato, con tutti i pericoli che ne possono conseguire.
Perché non incoraggiare quelle anime (oggi sono tante e non senza una divina mozione) che aspirano a compiere verso i Sacerdoti, quanto la Madonna e le pie donne fecero verso Gesù e gli Apostoli?
Si tratta di cooperazione nella preghiera e nel sacrificio, ansia premurosa per le vocazioni («Rogate Dominum messis..»), e per il ministero pastorale, di aiuto materiale, di cura, di difesa, di sostegno morale. Anime che attingano dal Cuore materno di Maria i sentimenti che Essa ebbe verso il suo Figliuolo Divino, e continuamente ha verso i Sacerdoti. Anime quindi che si propongono, con grande umiltà, di imitare Maria in ciò che fece ve rso Gesù fanciullo (e quindi aiuto agli aspiranti al Sacerdozio), verso Gesù e gli Apostoli durante il ministero (con la cooperazione di preghiera e di sacrificio, con servizio premuroso, con aiuto anche materiale), fino al sacrificio supremo: pensiamo a Maria ai piedi della Croce; pensiamo alla romana Lucina e a quante hanno raccolto le spoglie dei martiri;pensiamo al delicato pensiero di quelle donne (sono soprattutto donne) che continuano a pregare per i Sacerdoti defunti, che portano i fiori sulla loro tomba…
Molte anime, più sensibili ai problemi della Chiesa, si sentono portate sensibilmente, o meglio, per impulso della grazia, a questa vocazione; quando si fa brillare loro davanti questo ideale, si trovano come di fronte ad un'improvvisa rivelazione immensamente bella, profondamente sentita; un ideale capace di suscitare i più generosi entusiasmi e le più impensate energie.
L'istinto della maternità è insopprimibile nella donna, ed in lei il più potente: perché non sublimarlo orientandolo in questa direzione, prudentemente sì, ma insieme vigorosamente? Quante mamme, che hanno un figlio Sacerdote, si sentirebbero così più vicine e cooperatrici della sua missione! Quante mamme che hanno ardentemente desiderato un figlio Sacerdote, e non lo hanno avuto, si sentirebbero felici di una maternità spirituale verso tanti Sacerdoti! Quante anime bramose di dare un contenuto apostolico alla loro vita, troverebbero qui la forma più alta di cooperazione alla missione del Salvatore che, per quanto ami tutti gli uomini, è tratto verso i suoi Sacerdoti da un amore senza misura! Quanto tali anime sarebbero affascinate dall'ideale di poter essere in qualche modo le continuatrici della missione che ebbero la Vergine e le pie donne del Vangelo verso Gesù e gli Apostoli!
L'iniziativa potrà sembrare ardita e ha i suoi aspetti delicati; ma quante attività, ugualmente delicate e più ancora, esercitano nella Chiesa le anime consacrate! Penso anzi che il concetto di maternità, mentre costituisce uno stimolo ineguagliabile di dedizione e di personale santificazione, costituisca anche più una difesa che un'insidia alla virtù. Comunque, quando si vive per vocazione uno stato, è presente la grazia di stato a difendere, a suggerire le necessarie prudenze, a orientare tutta la vita alla santità.
Guardiamo gli insegnamenti del Signore, perché a tutto ciò che vi è in Lui di imitabile possiamo applicare le parole: «Exemplum dedi vobis, ut quemadmodum ego feci, ita et vos faciatis». Egli volle una Madre; e nella vita pubblica volle, per sé e per il collegio Apostolico, la presenza e l'aiuto delle Pie Donne. Troviamo queste durante il ministero apostolico di Cristo, le troviamo fedeli ai piedi della Croce, le troviamo partecipi della gioia della Risurrezione, le troviamo nel cenacolo insieme a Maria SS., per prepararsi e ricevere lo Spirito Santo.
Come attuare questa vocazione? Le forme sono molteplici, facili ad intuirsi e aperte a tutte le categorie di persone. Vedrei in concreto due classi:
1) Anime consacrate completamente, con i tre voti, in istituto secolare, delle quali parte sparse nel mondo, e parte in vita comune: per l'organizzazione e per tante attività che richiedono appunto la vita comune (case per Sacerdoti vecchi o infermi, case di Esercizi Spirituali e di villeggiatura per Sacerdoti, ecc.).
2) Cooperatrici senza voti, che vivono lo spirito dell'opera e vi collaborino nei limiti consentiti dal loro stato e dai loro doveri, e secondo un particolare regolamento.
Nella molteplicità degli istituti che sono sorti nei secoli per provvedere a particolari necessità caritative, assistenziali, sociali, educative, penso che possa utilmente inserirsi un istituto la cui altissima finalità - proprio in questi tempi - è particolarmente urgente e sentita.
L'istituto dovrebbe intitolarsi alla Madonna «Mater Christi», della quale queste anime dovrebbero essere le imitatrici e le continuatrici, nella cura verso l'«alter Christus» che è il Sacerdote; e l'istituto sarebbe pure posto sotto il particolare patrocinio di S. Giuseppe, la cui missione verso il Salvatore continua oggi verso tutta la Chiesa, e in particolare verso i Sacerdoti.
Chiedo a tutti una particolare preghiera per quest'opera che dovrebbe riuscire di conforto a tutti i Sacerdoti.
A.
Di don Giacomo Alberione su Vita Pastorale maggio 1963